Il verbo abortito

Pubblicato il 12-03-2021

di Flaminia Morandi

Il cristiano che pecca abortisce il Logos, espelle il Verbo prima di partorirlo con le opere». Parole toste ma geniali come il suo autore, Origene, un grande del III secolo che sulla penitenza ha detto cose con cui tutti hanno dovuto fare i conti. Soprattutto noi, figli di un tempo che ha annacquato la penitenza fino a farla diventare un banale scarico psicologico dal senso di colpa. No! Perdere il significato teologico della penitenza è aver già perso quello del battesimo, perché i due sacramenti sono legati: la penitenza è sorella del battesimo. Con i suoi gesti drammatici, il battesimo ci dice che non ci salviamo da soli.

Ci salviamo entrando nella morte e risurrezione di chi ci ha indicato che la nostra vocazione è vivere da figli nel Figlio di Dio, morto e risorto per amore di noi. Di lui abbiamo bisogno per respirare, e respirare lo Spirito, perché non siamo fatti solo di due elementi, corpo e anima, ma del Terzo, lo Spirito, sigillo del Creatore e Padre nostro. Chi pecca, dice Origene, «interrompe la comunione con Dio, non riceve più il flusso vivificante dello Spirito: è un’anima defunta». Fa attenzione a cercare con cura a chi confessare il tuo peccato: «Metti prima alla prova il medico… se sa farsi debole con i deboli, piangere con chi piange, se conosce l’arte di condividere il dolore e la sofferenza…». Non vergognarti di dire il peggio di te: «Il peccato taciuto mette radici profonde nell’anima e se ne impossessa, mentre la colpa perde forza se confessata, il peccatore vomita e fa sparire la causa del suo male». Il perdono però cancella le tracce, le cicatrici che il peccato ha impresso dentro e vengono percepite come divisione interiore, ma non cambia l’orientamento del peccatore.

La vittoria sul male è una storia lunga! Significa convertire mentalità e volontà. Non la convertono le classiche tre Ave Maria o un Padre Nostro date spesso come “penitenza”. La cambiavano le “scomuniche” del cristianesimo primitivo, tre anni senza poter partecipare all’eucaristia se i peccati erano gli “inguaribili”: apostasia, adulterio, omicidio, violenze. Tre anni per restaurare l’immagine del Figlio nel peccatore, che veniva di nuovo formato ai misteri della fede da un cristiano maturo. Perché la confessione sia davvero sorella del battesimo, anche oggi bisogna lavorare sulla trasformazione esistenziale della persona con delle “penitenze” che diventino dei reali “percorsi penitenziali”. Guarire le cose contrarie con le contrarie, cioè usare le coppie simmetriche dei vizi e delle virtù per far sentire più acutamente le conseguenze dolorose del male.

A chi è avaro, far fare un cospicuo versamento di denaro ai poveri; all’adultero, spedirlo a fare un pellegrinaggio nella chiesa dove si è sposato; al ladro, far restituire il maltolto; al vanaglorioso, assegnare una carità nascosta; al pigro, far imparare a memoria un salmo. Per il sacerdote che accoglie la confessione è l’occasione per scatenare la sua creatività. Per il peccatore, vivere un’esperienza concreta di liberazione da se stesso.

Flaminia Morandi
NP dicembre 2021

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