Il testamento di Pavel

Pubblicato il 12-07-2025

di Flaminia Morandi

La libertà autentica, quella che libera da tutto e fa servi di tutti non si insegna, dice Abraham Joshua Heschel: si trasmette piuttosto con il senso dello stupore e il mistero dell’essere vivo, con la gratitudine, la consapevolezza di essere significativi, con la capacità di pensare insieme a Dio e all’uomo. La cosa più inutile è insegnare valori morali. Tra tutte le discipline della filosofia, l’etica è la più insicura, aveva detto il rabbi e filosofo polacco in una conferenza, proprio a Torino, negli anni ’60.

Pavel Aleksandrovic Florenskij sarebb e stato d’accordo. Florenskij, una delle personalità più grandi del XIX secolo, da non dimenticare mai: non tanto per la vastità impressionante della sua cultura quanto per la perfetta integrità interiore e totale identificazione tra vita e opera. Prete sposato secondo la tradizione ortodossa, filosofo della scienza, fisico, matematico, ingegnere elettrotecnico, teologo, teorico dell’arte, della filosofia del linguaggio, dell’estetica, simbologia, semiotica.
Soprattutto padre di cinque figli amatissimi ai quali, dalla prigionia nel gulag, scrive un testamento indimenticabile in cui cerca, appunto, di trasmettere il senso profondo della libertà. «Occupatevi della vostra opera, cercate di compierla nel migliore dei modi, e tutto ciò che fate, fatelo non per compiacere gli altri, ma per voi stessi, per la vostra anima, cercando di trarre tutto il vantaggio, insegnamento, alimento per l’anima, perché neanche un istante della vostra vita vi scorra accanto senza senso e contenuto», scrive.

Per trasmettere l’arte della gratuità e del dono, della relazione e della persuasione, bisogna comunicare «la percezione mistica del mondo», inizio di ogni nuovo “atto creativo” e di ogni apertura alla vera conoscenza.
Occorre saper cogliere quei misteriosi legami, esili e quasi impercettibili, che congiungono la realtà visibile a un “oltre”, allusioni nascoste nel reale, fessure che lasciano trasparire l’invisibile. «Il segreto della genialità è nel conservare l’infanzia, la disposizione d’animo dell’infanzia per tutta la vita. È questa disposizione che dà al genio una percezione del mondo non centripeta, una sorta di prospettiva rovesciata; perciò integrale e reale», scrive alla figlia Olen. I bambini hanno “dal di dentro” la consapevolezza della differenza assieme a quella dell’unità sostanziale del mondo. Bisogna restare lettori e inventori di fiabe: che per la loro stessa struttura narrativa mettono in discussione l’onnipotenza del visibile. E sempre, sempre, coltivare la memoria.
Come le pietre, «dimostrazione diretta dell’eternità del passato: eccoli, nella pietra, gli strati del tempo, addormentati uno sull’altro, stretti stretti in una quiete muta». Non si tratta della memoria ridotta a ricordo temporale, ma della memoria organica dell’universo e delle proprie radici. Si entra nella regione dello spirito a cominciare dalla ricostruzione della memoria della propria famiglia: la sua “legge di crescita”, i suoi punti di forza e quelli più vulnerabili, le relazioni tra i diversi “rami” e le “vocazioni”, per capire meglio la propria, di vocazione.

La libertà interiore ha permesso a Florenskij di vivere continuando a studiare negli anni di prigionia alle isole Solovki, duro carcere sovietico creato per spregio negli edifici di un antico monastero russo. La fucilazione nel silenzio di un bosco artico l’8 dicembre 1937 ha ucciso un uomo sfinito e incatenato, ma libero, sovranamente libero.
 

Flaminia Morandi
NP marzo 2025

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