Il soffio dello Spirito

Pubblicato il 21-04-2023

di Cesare Falletti

Sessant'anni fa l’8 dicembre si chiudeva la prima sessione del Concilio Vaticano II. Un avvenimento che ha sconvolto non solo la Chiesa, ma il mondo intero, perché era una risonanza di tutta la gestazione di tempi nuovi cominciata con la fine della seconda guerra mondiale. Poco dopo la chiusura del Concilio, che – diciamocelo – non ha ancora finito di essere digerito nella Chiesa, scoppiava la rivoluzione del ‘68, seguita poi in Italia dai tragici anni di piombo. Il mondo intero ne è uscito cambiato.
E anch’io. Ho capito che per seguire Cristo bisogna amare e vivere la vita della Chiesa.

La Chiesa, preparata ormai da lunghi anni di ricerca e tenaci resistenze, ha cercato di leggersi e capirsi alla luce della nuova cultura, dei fermenti che già scuotevano i popoli attanagliati nella guerra fredda; aveva bisogno di ripensare a se stessa. Senza negare il cammino del passato, i pastori si sono a lungo interrogati su come leggere il mandato evangelizzatore di Gesù Cristo nel tempo presente.
L’ultimo grande documento vuole affermare quale deve essere la posizione dei cristiani davanti a un mondo che presenta un volto nuovo.
Questo documento, la costituzione Gaudium et spes, comincia con queste parole: «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore».

È certamente un messaggio di speranza: le due parole iniziali ne danno il colore. Ma non è uno sguardo ingenuo, come se gli occhi dei pastori fossero solamente abbagliati dal boom economico, demografico e scientifico di quegli anni. La Chiesa è attenta, si immedesima e gioisce, ma sta accanto alle tristezze e le angosce degli uomini e, nota che ha segnato una particolare svolta nella pastorale e anche nella teologia, soprattutto dei poveri e dei sofferenti.
Tutto ciò che è genuinamente umano interessa la Chiesa, fa parte della Chiesa ed essa ne porta il peso davanti a Dio e si impegna a lavorare perché il progresso dell’umanità sia sempre più vero, più umano, più secondo la volontà del Creatore.

Si è parlato di Chiesa dei poveri e, forse, si è dato un accento non totalmente corretto a questa frase: la Chiesa è dei poveri per varie ragioni e prima di tutto perché si appartiene alla Chiesa nella misura in cui si riconosce la propria povertà e ci si apre al Salvatore. Ma anche perché compito della Madre Chiesa è essere particolarmente attenta ai suoi figli più sofferenti, più abbandonati, più scartati. Non è una novità: tutti i Padri della Chiesa, al seguito della Scrittura, ne hanno parlato e san Benedetto nella sua Regola dice che i poveri vanno accolti con una particolare attenzione, mentre Giovanni Climaco dice che i monasteri sono gli ospedali delle anime: povertà, dunque, sia economiche e sociali, che psicologiche, fisiche e spirituali.
Se, dunque, vi è stato uno sguardo ottimista sulla storia, non è stato uno sguardo illuso, ma positivo perché si riconosce la presenza del Salvatore e l’opera dello Spirito e si chiede alla Chiesa tutta di cooperare alla redenzione sia terrena che del destino eterno degli uomini.

La mia generazione è stata violentemente segnata da questo soffio dello Spirito: una fede vissuta per abitudine è stata spazzata via e le chiese si sono svuotate, ma chi aveva il desiderio di Gesù nel cuore ne è stato rafforzato ed è sorto un modo di essere cristiani molto più vivo e coraggioso. Molte cose nuove sono nate, alcune di vita breve, altre più durature, ma tutto ha contribuito a cercare di vivere con una fede più viva e testimoniata. La mia vita, il mio modo di pensare e di credere hanno preso una via molto più bella.
 

Cesare Falletti
NP gennaio 2023

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