Il sangue del popolo

Pubblicato il 21-01-2025

di Renato Bonomo

- prima parte -
- seconda parte - 

A sostenere le speranze degli studenti e dei manifestanti di piazza Tienanmen, troviamo la convinzione che la Cina potesse seguire l’esempio sovietico. Proprio in quegli anni la perestrojka (ristrutturazione) e la glasnost (trasparenza) di Gorbaciov stavano diventando realtà e sembravano aprire il socialismo a nuove forme di partecipazione democratica. Fu proprio la visita a Pechino del leader sovietico a metà maggio del 1989 a dare uno slancio importante alla protesta di piazza. Agli studenti si unirono funzionari pubblici, commercianti, operai che mostravano così la loro opposizione al regime comunista. Quella di piazza Tienanmen fu tra le più grandi e partecipate manifestazioni popolari della storia della Cina. Gli studenti vollero sfruttare la visita per fare pressione sul governo al fine di attuare le riforme richieste. Non solo il governo rifiutò ogni forma di dialogo, ma evitò in modo accurato di far incontrare i giovani con Gorbaciov (anche visivamente, il leader sovietico fu accompagnato all’interno dei palazzi del potere impedendogli di passare per finestre o cortili che potessero fargli vedere o sentire la piazza).



Dopo la visita – che non contribuì a cambiare le sorti della politica interna cinese, ma diede comunque l’importante annuncio di un inizio di smilitarizzazione del confine sino-sovietico – Deng cominciò a organizzare la repressione che arrivò, feroce e spietata, poche settimane dopo. Solo un uomo politico ai vertici del partito, Zhao Ziyang, si oppose alla legge marziale, venendo immediatamente estromesso da ogni carica e condannato agli arresti domiciliari a vita. Le manifestazioni di piazza venivano quindi considerate una minaccia mortale all’ordine costituito da stroncare immediatamente. Ancora oggi non sappiamo il numero esatto delle vittime, centinaia o addirittura migliaia? Troppe famiglie non conoscono ancora la sorte di molti loro cari. Soprattutto il governo cinese ha imposto una damnatio memoriae sugli avvenimenti. Come se, a ben venticinque anni di distanza, anche solo il ricordo di quei giorni potesse minare la solidità del regime Nonostante l’oblio imposto, negli anni qualcosa è trapelato, come la storia del generale Xu Qinxian, a capo del 38° corpo d'armata. Il generale si rifiutò di sparare sulla folla perché – secondo lui – la protesta di piazza Tienanmen era un problema politico e non militare: con i giovani si doveva negoziare e non sparargli addosso. Fu incarcerato per quattro anni ed espulso dall'esercito.
Da quello che sappiamo, pur mostrando dubbi sulle scelte del governo, sono stati molto pochi gli ufficiali che, come Xu, si rifiutarono di obbedire.

Eppure, tornare ogni tanto a quelle immagini sgranate, ci aiuta a ricordare la modernità e la vitalità di una parte della società cinese che oggi sembra essere lontana anni luce da quella assopita e sottomessa al nuovo grande vecchio Xi. Giovani pensanti, appassionati, impegnati, desiderosi di libertà, sono un pericolo per tutti i regimi autoritari o aspiranti tali.
Coltivare la coscienza dei giovani deve rimanere quindi una priorità di tutte le democrazie che vogliono sopravvivere senza tramutarsi in democrature.
 

Renato Bonomo
NP novembre 2024

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