Il pieno di coccole

Pubblicato il 21-11-2022

di Marco Grosseti

La paternità e la custodia di una nuova vita

Sono passati appena cinque secondi, ma forse è meglio controllare ancora, avvicinarsi con estrema delicatezza, sfiorare senza toccare, ancora poi rompi qualcosa, appoggiare quasi la testa sopra quella pallina che stringe i pugnetti verso l’infinito e, oltre a reclamare la sua pace, sentire se quel cuoricino batte ancora davvero. Prendere fiato, sentirsi sfinito e soddisfatto come dopo un’operazione a cuore aperto, in cui il miracolo di quella piccola esistenza ancora in vita è solo merito tuo, ma un attimo dopo riempirti di spavento perché quel battito così regolare e tranquillo è sopraffatto da una serie incontrollata di fortissimi singhiozzi che sembrano squassare in due quella piccola palla di amore.

Non me l’avevano mai detto che sarebbe stato il dono più bello, non l’avevo sentito dire in nessun luogo e da nessuna voce. Avevo sentito parlare dei costi economici e sociali della denatalità, degli importanti e gravissimi problemi connessi con la decrescita demografica, avevo ascoltato lunghissimi discorsi sulla procreazione e la fecondazione, la morale che doveva avere la prima e l’ultima parola, a questo punto l'unica, per stabilire cosa e quando fosse giusto oppure no. Della vita che cambiava e quasi finiva, per una serie infinita di rinunce, impegni, scocciature. Avevo imparato a stare zitto e buono senza conoscere la bel-lezza e la meraviglia che stavano dietro tutto questo.

Meraviglia è la parola che sento ripetere sino alla nausea da tutti ora. È la felicità negli occhi di giovani uomini quasi sconosciuti, che appena vedevano quella pancia diventare gigante come un elefante e gonfiarsi sino a scoppiare, ti davano il benvenuto nel tempo dei superpoteri, abbracciandoti con complicità come se foste amici da sempre. Con gli occhi che brillavano per quella figata pazzesca che avevano appena vissuto e che presto avrebbe sconvolto anche la tua vita, regalandoti la benedizione più grande: il momento magico in cui, senza fare niente, rinascevi di fronte alla piccola vita che usciva dalla cuccia che aveva trovato in una pancia, e compariva davanti ai tuoi occhi e un attimo dopo ti finiva tremante e piangente tra le mani, senza altro desiderio che trovare al più presto qualcosa da ciucciare per garantirsi la sopravvivenza.

E adesso sei qui, ogni cinque minuti a controllare, come se fossi il massimo esperto, che la vita faccia regolarmente il suo corso, cuoricino che batte, culetto che non puzza, aria che entra e aria che esce, ore a fissare uno sbadiglio, ricevere uno sguardo e fare finta sia un sorriso, attendere il tanto sospirato ruttino. La speranza che non arrivino quegli spaventosissimi singhiozzi e che scompaiano le macchie sulla pelle che spuntano ogni giorno in un posto diverso. Le piccole urla che chiedono un po’ di coccole per non diventare grandi, sono le parole che non sai dire ancora; cosa c'è attorno non lo vedi e non lo senti, ma la paura più grande, che fa scattare il sistema d'allarme, è quella che dovremmo avere tutti: rimanere da soli. Per superarla basta essere preso in salvo da una fredda culla e ritrovarti tra braccia che ti prendono e ti stringono in qualche modo, facendo il massimo dell’attenzione a non romperti e non perderti. Il contatto con un'altra vita è istantanea consolazione, protezione contro tutti i cattivi, un pieno di coccole che fa scomparire ogni problema, a parte la fame. Facciamo che funzioni così per sempre?

Marco Grossetti

NP Agosto-Settembre 2022

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