Il perdono possibile

Pubblicato il 15-02-2021

di Nello Scavo

Cambogia, ferite aperte alla riconciliazione.

Si fa presto a dimenticare. Ma serve a poco, se poi le feri­te non guariscono del tutto. Come in Cambogia, dove la mattanza ordinata da Pol Pot negli anni '70 è ancora un capitolo aperto. Molti, in verità, preferirebbero non parlarne più. Il processo della giu­stizia internazionale ai vertici dei Kh­mer Rossi, è stato seguito con scarsa attenzione della stampa europea.

Difficile spiegarlo ai superstiti della guerra fratricida sotto il cui rancore cova ancora una certa propensione a regolare di tanto in tanto i conti rima­sti in sospeso. Anche a questo lavora da anni la Chiesa Cattolica, che dopo essere stata funestata dalle persecu­zioni predica la rinascita attraverso la riconciliazione che non cancella la memoria.

Anni fa ero andato a vedere di perso­na questo miracolo del perdono che non finisce sulle prime pagine. Men­tre Thyep a 14 anni combatteva indos­sando la sciarpa dei Khmer Rossi, il piccolo Hoeung a quattro anni andava controvoglia alle scuole del “Partito” con il fucile in spalla. Hoeung odiava fin da bambino quelli come Thyeup, che seminavano terrore eliminando chiunque la pensasse diversamente. Uno sterminio su cui trent’anni dopo si è aperto un processo. Hoeung e Thyeup, entrambi di sangue khmer, hanno finito per odiarsi. L’uno con la divisa del “Partito comunista della Cambogia”, l’altro tentando di non pie­garsi al lavaggio del cervello imposto dalla dittatura. L’odio però ha perso. Li abbiamo trovati entrambi al servizio di una scuola elementare tra le risaie e la giungla, nel nord del Paese. «Credevo nei Khmer Rossi, ero un ragazzo, ed andai a combattere giù al confine con il Vietnam». Sorrideva amaro Thyep, che portava i suoi cinquant’anni sa­pendo che per un maschio la speranza di vita è in media di 57 anni. Della sua giovinezza parlava come di un’epoca remota. Troppo grande quella crudel­tà per pensare di avervi preso parte. Hoeung, di una decina d’anni più pic­colo, raccontava di quel tempo senza mai un sorriso. «Quando qualcuno di noi bambini disobbediva, o magari ci rifiutavamo di spiare i nostri genitori, i compagni più grandi ricevevano l’or­dine di punirci». Chi si tirava indietro faceva la stessa fine. «Ci portavano lungo il fiume, distesi in terra e mas­sacrati di botte davanti a tutti», ricor­dava Houeng. Calci, pugni, bastonate, capelli strappati e molto peggio. «Poi si veniva legati e imprigionati dentro a un sacco di iuta. Infine uno alla volta i sacchi venivano gettati in acqua». Il resto lo facevano la corrente o i coc­codrilli. È capitato anche ad Hoeung di essere punito, «ero piccolo, mi mas­sacrarono ma non mi uccisero». Nella conta dei quasi due milioni di morti ci sono anche questi innocenti strap­pati alle famiglie e inghiottiti da una pagina di storia venuta male. All’ini­zio degli anni ’70 la Cambogia conta­va quasi sette milioni di persone. Nel 1976, quando i Khmer Rossi furono sconfitti, di abitanti ne furono censiti meno di cinque milioni. Un “genoci­dio” ben più grave, in proporzione, di quelli perpetrati da Hitler e Stalin.

«Mi ricordo dell’unica volta in cui vidi Pol Pot. Venne a trovarci lì, sul confine». A Thyep parve di incontra­re il “profeta” del riscatto sociale, del ritrovato orgoglio khmer dopo i de­cenni di colonizzazione francese e la frustrazione di una indipendenza che non portò il benessere. Adesso per lui proferire il nome di Pol Pot è come parlare di una maledizione che ha il­luso una generazione spazzandone via un’altra. Quarant’anni dopo i due ex nemici hanno un sogno in comune. Non per sé, ma per i figli: «Speriamo per loro in una istruzione adeguata e una buona educazione. Se le avessimo avute anche noi, forse non ci saremmo fatti mettere gli uni contro gli altri».

Il 2 settembre del 2020 una pagina di quella storia di lutti di massa si è chiusa. Kaing Guek Eav, il coman­dante Duch, a cui era stato affidato il lager di Tuol Sleng è morto a 77 anni. Con lui se ne va un altro pezzo, il pe­nultimo, dello scarno lotto di ex alti funzionari dei Khmer rossi alla sbarra in un tribunale dell'Onu, che per ol­tre un decennio ha cercato di portare giustizia, almeno simbolica, per quegli 1,7 milioni di morti. Degli ex Khmer rossi, almeno, è quello che ha passato in carcere più tempo di tutti: era stato arrestato già alla fine degli anni No­vanta, dopo essere stato riconosciuto da un fotoreporter nella nuova vita che si era costruito nell'ovest della Cambo­gia, diventando cristiano evangelico e lavorando per una Ong. A differenza degli altri quattro imputati a proces­so, Duch è stato quantomeno l'unico a collaborare almeno parzialmente anche dopo la sua condanna, testimo­niando contro gli altri. Pol Pot è morto nel 1998 senza mai dover risponde­re degli orrori causati dal suo utopi­co progetto di riportare la Cambogia “all'Anno Zero”. C'era quasi riuscito. Ma l'amicizia ritrovata di Thyep e Ho­eung e la conversione di Duch dicono che ha fallito.

Da anni la Chiesa Cattolica, dopo essere stata funestata dalle persecuzioni, predica una rinascita che non cancella la memoria.

 

#sunto

Il ricordo di due sopravvissuti al ge­nocidio perpetrato dai Khmer Rossi che negli anni '70 provocò 1,7 milioni di morti. Allora su fronti opposti, oggi a servizio in una scuola fra le risaie.

 

 

info

Un genocidio dimenticato

I Khmer Rossi costituirono il brac­cio armato del Partito Comunista di Kampuchea in Cambogia. Nata nel 1960 come costola dell'esercito popolare vietnamita, la milizia si alleò con i Viet cong durante la guerra del Vietnam. Dopo la conquista del potere conseguente al ritiro statunitense, i Khmer Rossi guidati da Pol Pot procedettero alla "purificazione della Cambogia", uccidendo ogni appartenente alle classi più colte – bastava indossa­re gli occhiali per essere additato come intellettuale – e scardinando i legami familiari per costruire una “nuova società”.

Dal 1975 al 1979 si dispiegò un vero e proprio geno­cidio, fu distrutto un quarto della popolazione del Paese. Pol Pot divenne primo ministro del Paese, che prese il nome di Kampuchea Democratica fino al 1979, quan­do la sua dittatura fu rovesciata a causa dell'invasione della Cambo­gia da parte del Vietnam.

Pol Pot e i Khmer Rossi ricostituirono in seguito un movimento armato in funzione anti-vietnamita e anti-so­vietica alla frontiera con la Thai­landia, con il sostegno di Stati Uniti, Cina e Thailandia. A partire dagli anni ’90 l’organizzazione si sciolse fino a dissolversi completa­mente nel 1999.

 

NP dicembre 2020

Nello Scavo

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