Il moscerino e il vortice.

Pubblicato il 31-08-2009

di Elena Canalis


Inizia oggi a Roma una settimana di iniziative in commemorazione del centenario di matrimonio di Luigi Beltrame Quattrocchi e Maria Corsini, beatificati da Giovanni Paolo II il 21 ottobre 2001. Ma allora anche da sposati si può diventare santi?

di Elena Canalis

  

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Piero Gheddo,
Questi santi genitori
Edizioni San Paolo
Cinisello Balsamo (MI) 2005, 1 ed. 10,00 €
Il 21 ottobre 2001, prima volta nella storia, due coniugi sono stati beatificati insieme. È il 20° anniversario dell'esortazione apostolica “Familiaris consortio”, l’enciclica di Giovanni Paolo II sulla famiglia. Luigi Beltrame Quattrocchi (1880-1951) e Maria Corsini (1884-1965) non hanno fatto nulla di straordinario, ma sono vissuti in modo straordinario ogni giorno. Si erano sposati il 25 novembre 1905, 100 anni fa. La loro città, Roma, dedica a questo anniversario una intensa settimana di iniziative (cfr. www.vicariatusurbis.org/fondazionebq ) alla quale presenzieranno, tra i testimoni, i coniugi John J. ed Evelyn L. Billings (che hanno messo a punto il metodo “Billings” per la procreazione responsabile).
Nel frattempo prosegue il processo di beatificazione di Rosetta Franzi e Giovanni Gheddo, sposati nel 1928 e genitori di padre Piero Gheddo, missionario del Pontificio Istituto Missioni Estere (PIME) e fondatore di Asianews.
Cosa significa vivere la propria fede in un “passo a due”?


Ore 6.30 suona la sveglia. Scattiamo in piedi. Sosta in bagno, poi io metto su il thè, preparo colazione, mi preparo il pranzo (o rmai quasi più nessuno offre il servizio mensa per i dipendenti), mentre Marco cambia l’aria (così alle 6.30 del mese di febbraio, di sicuro ci svegliamo!) e fa il letto.
Mangiamo, ci vestiamo, ci salutiamo e corriamo al lavoro. Traffico. Bollo l’entrata ore 8.00 e tra una riunione e l’altra, tra un sopralluogo e un’analisi arrivano quasi sempre le 18.00 per bollare l’uscita. Traffico.Arrivo a casa giusto in tempo per trovare ancora un po’ di pane dal panettiere.
Tutte le sere preparo cena cercando di non ridurci alla solita pasta o insalata fatta di corsa, per avere il piacere dell’unico pasto della giornata trascorso insieme. Marco arriva a casa più tardi, così ho il tempo per preparare tavola, stirare quando serve, oppure fare le pulizie o la spesa. Parlando poi con i nostri amici o colleghi, possiamo solo dire: “Stralci di vita comune a MOLTI”, anzi tanti hanno i minuti ancora più contati.
In mezzo a questo vortice di cose da “fare” alle volte ci accorgiamo di essere senza fiato. Ci sentiamo presi dall’ansia, dall’angoscia di non riuscire a fare tutto, di non “essere abbastanza”. Ci sembra che i giorni corrano via veloci da una settimana di lavoro all’altra, con il week end messo lì giusto per, di nuovo, “fare” le cose che non sei riuscito a incastrare nella settimana. Quando uno se ne accorge cerca un senso.
Mi viene in mente la poesia di un amico: “Il moscerino, abbattuto e perso, nel suo breve volo dal vortice afferrato, non ha volato invano perché per sè e per noi, non per il vortice, ha volato”.
Già, nessuno di noi vola per il “vortice” delle cose da “fare” che spesso sembrano prenderci, basta accorgersene e riprendere in mano il timone. Come?
Io e Marco abbiamo entrambi scelto la fraternità del Sermig. Alle volte può sembrare che essere parte della Fraternità sia avere altre cose da “fare”, ma a ben guardare significa avere dei punti fermi, delle persone che camminano con te, degli incontri: pietre miliari che ti aiutano a riconquistare il “timone” e che ci testimoniano come l’unico “timone” possibile sia davvero la preghiera. Così Ernesto ci sta insegnando a pregare pur in mezzo al vortice. Ci sta insegnando a pregare attraverso un metodo, perché la preghiera non sia lasciata al caso, al momento buco, ma ci siano dei momenti costanti ogni giorno, la lettura della Bibbia ogni giorno, il rosario ogni giorno, l’esame di coscienza ogni giorno. La preghiera in testa mentre lavoro
Non ci siamo ancora riusciti, ci stiamo provando, ma ci siamo accorti che solo così la nostra sete di un senso nelle cose riesce a placarsi. Solo nella preghiera le cose si riescono a fare un passo alla volta lasciando fuori l’angoscia, perché trovi la certezza di non essere da solo. Solo nella preghiera i fatti della vita riacquistano la giusta dimensione e si riesce a guardare oltre. Solo nella preghiera la stanchezza non divide, ma unisce. Solo la preghiera “allarga” i confini del tempo nell’amore.
Alla fine credo che la preghiera più bella che abbiamo imparato a fare è quella di riconoscere la mano di Dio nella storia quotidiana della nostra vita.
Ore 6.30 suona la sveglia. Scattiamo in piedi. Da qualche mese prima di uscire leggiamo la Bibbia insieme. Un primo passetto. Da qualche mese la nostra vita è diventata un pochino meno un “vortice”.

     

 

 

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