Il mito dello Stato sovrano

Pubblicato il 13-11-2022

di Edoardo Greppi

In questi drammatici mesi, nei quali in Europa è riapparso lo spettro della guerra, in conseguenza della folle aggressione armata della Russia all’Ucraina, i temi della pace e della sicurezza internazionale sono tornati in primo piano.

Nel preambolo della Carta dell’ONU gli Stati avevano dichiarato solennemente di essere «decisi a salvare le future generazioni dal flagello della guerra, che per due volte nel corso di questa generazione ha portato indicibili afflizioni all’umanità». Le future generazioni di quel 1945 siamo noi.
Due terribili guerre che chiamiamo mondiali, ma che sono scoppiate in Europa, inducevano a cercare soluzioni in termini di impegni degli Stati, cioè dei governi. L’idea guida era che la pace potesse essere garantita soltanto vietando il ricorso alla guerra. Così facendo, però, si andava a toccare il cuore del problema.
Fino ad allora, infatti, la guerra non soltanto era considerata lecita, ma era addirittura intesa come uno degli elementi caratterizzanti la sovranità dello Stato.

Lo Stato sovrano – almeno dagli albori dell’età moderna – era concepito come detentore della pienezza dei poteri: rex, superiorem non recognoscens, in regno suo est imperator. Il re nel suo regno è un imperatore, proprio perché non riconosce un’autorità superiore. Nei rapporti con gli altri enti sovrani, può dispiegare tutti gli strumenti che vuole, da quelli pacifici, come gli accordi e le relazioni diplomatiche, fino a quelli di “autotutela”, come le rappresaglie e la guerra.
Nella Carta dell’ONU gli Stati hanno assunto l’impegno (“devono”, recita l’art. 2 par. 4) di «astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza, sia contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato, sia in qualunque altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni Unite». Venivano ammesse solo due eccezioni: la legittima difesa e la forza necessaria perché l’ONU stessa potesse dare vita a un “sistema di sicurezza collettiva”, gestito dal Consiglio di sicurezza. Tuttavia, la comunità internazionale restava e resta una società di Stati sovrani. La prima affermazione che troviamo nella Carta, infatti, è che «l’Organizzazione è fondata sul principio della sovrana eguaglianza» degli Stati.

Il cuore del problema è dunque questo: la comunità internazionale resta saldamente ancorata al prin-cipio della sovranità statuale; è una società “orizzontale”, nel senso che gli Stati sono posti su un piano di parità tra loro, e non esiste un’autorità superiore. Non c’è un parlamento mondiale che stabilisca le leggi; non c’è un governo che ne assicuri l’applicazione e l’esecuzione; non c’è un tribunale al quale gli Stati debbano obbligatoriamente sottoporsi. Le norme sono quelle che gli Stati stessi stabiliscono e si impegnano a rispettare (essenzialmente i trattati); la loro applicazione deve essere garantita dagli Stati stessi; una corte internazionale ha giurisdizione sulle controversie solo se gli Stati dichiarano di accettarla (come negli arbitrati).

Nella prassi, nella vita di relazione internazionale, tutto ciò ha gravi conseguenze. Lo Stato sovrano tende a coltivare questo mito della sovranità. In questi anni, in Europa assistiamo al sorgere e al crescere di partiti che si dichiarano “sovranisti”. La storia insegna che la rivendicazione della piena sovranità interna si accompagna prima o poi a politiche estere aggressive. Il passo dal “sovranismo” al “nazionalismo” è breve. Il grande scrittore francese Romain Gary, autore del bellissimo romanzo Educazione europea, ha scritto: «Patriota è chi ama la propria patria. Nazionalista è chi disprezza la patria altrui». E il nazionalismo conduce spesso alla guerra.
Il mito dello Stato sovrano poggia sul principio per cui al rispetto del “dominio riservato dello Stato”, cioè la sfera della sovranità, si accompagna il divieto di intervento, di ingerenza, da parte degli altri Stati. La sovranità dello Stato è protetta dalle sue frontiere.

In un bellissimo e profetico articolo, pubblicato il 3 gennaio 1945 su Il risorgimento liberale, Luigi Einaudi additava il pericolo: «il mito dello Stato sovrano significa, è sinonimo di guerra». Questo articolo richiamava la lettera che Einaudi aveva scritto il 5 gennaio 1918 a Luigi Albertini, direttore del Corriere della sera, con pesanti critiche al progetto della Società delle Nazioni (la progenitrice dell’ONU), proprio perché era intesa come organizzazione di Stati sovrani.

Gli interrogativi di Einaudi (di un secolo fa!) sono attualissimi. La sovranità è ancora un principio accettabile nel mondo contemporaneo? Le frontiere degli Stati sono strumenti adeguati di fronte alle sfide globali della contemporaneità? La globalizzazione economica, le migrazioni di decine di milioni di persone, il terrorismo internazionale, la criminalità transnazionale, i problemi del degrado dell’ambiente e del clima, internet e la comunicazione planetaria, le pandemie, sono sfide suscettibili di essere affrontate adeguatamente da una società internazionale che si rifugia nel mito dello Stato sovrano?
Resta, dunque, straordinariamente attuale l’ammonimento di Einaudi: le guerre scompariranno «nel giorno in cui sia per sempre fugato dal cuore e dalla mente degli uomini l’idolo immondo dello Stato sovrano».


Edoardo Greppi
NP agosto / settembre 2022


Al link http://www.iisf.it/discorsi/einaudi/mito_s_s.htm è possibile leggere l'articolo di Luigi Einaudi pubblicato il 3 gennaio 1945 su Il risorgimento liberale.

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