Il martire della corruzione

Pubblicato il 14-04-2018

di Matteo Spicuglia

di Matteo Spicuglia - Il sacrificio di Floribert, giovane congolese morto per aver detto no. Certe cose si fanno senza nemmeno parlare. Si intuiscono. Basta uno sguardo, un ammiccamento, un gesto veloce. Che problema c’è a chiudere un occhio e forse due? Sei giovane, hai poco più di 20 anni, hai uno stipendio da fame. Prendi i soldi e fatti gli affari tuoi. Fai come tutti gli altri! Ma nell’ufficio della dogana di Goma, grande città di confine della Repubblica democratica del Congo, da qualche mese il vento era cambiato. Floribert Bwana Chui era fatto di un’altra pasta.

Era giovane, ma conosceva benissimo la fama di quel ruolo. Nella grande città tutti sapevano che bastava pagare per far passare di tutto: cibo avariato, merce di dubbia provenienza. La gente se ne accorgeva quando andava al mercato, dove era normale trovare alimenti andati a male, tutti però con il timbro di certificazione di qualità della dogana. Tangenti, come in tanti altri settori: la normalità.

Floribert sapeva tutto, aveva 26 anni certo, ma aveva le idee chiare. Mai gli operatori economici della zona avrebbero potuto immaginare tanto. Quel rapporto dettagliato di Floribert su una gigantesca partita di riso avariato, che non avrebbe dovuto incontrare ostacoli. Qualcosa come 4-5 tonnellate, su cui tanti papaveri, pesci piccoli e grandi, avevano già mangiato. Floribert riceve pressioni, telefonate, incontra persone che lo invitano a non creare problemi. «Se chiudi un occhio, hai 3mila dollari.

Fatti furbo, non vedi che guadagni 5-6 dollari al mese?». Floribert è sconvolto, ne parla con una cara amica, ha la certezza che quella partita di riso possa fare del male a chi lo mangerà. La sua risposta anticipa la fine: «Come cristiano non posso permettermelo. Meglio morire che mettere a rischio la vita della gente. Se accettassi di farmi corrompere, sarebbe come se accettassi la mia, di distruzione».

Un eroe? No, semplicemente un giovane che non avrebbe mai potuto rinnegare se stesso. Perché Floribert era diverso. Idealista, sognatore, convinto di poter davvero cambiare il mondo. Era un cristiano semplice, con i piedi per terra, fiero del suo Paese da ricostruire dopo anni di guerra civile. Proprio per questo comincia subito a darsi da fare: vede nella Comunità di Sant’Egidio lo sbocco naturale del suo impegno e dei suoi sogni.

La preghiera, lo studio, l’impegno per gli altri: comincia a prendersi cura dei “maibobo”, i ragazzi di strada che nessuno vuole avvicinare, li incontra nei quartieri più malfamati e difficili della sua città, diventa una guida discreta pronta a dare un aiuto materiale, ma soprattutto a fare da fratello maggiore. Nel frattempo, Floribert continua a studiare, è intelligente, frequenta l’università con profitto fino alla laurea: il titolo che gli farà trovare subito lavoro proprio come direttore dell’ufficio della dogana.

È un cerchio che si chiude: la rettitudine che nasce da un amore precedente e che presenterà presto il conto. Il 7 luglio del 2007, dopo i no ripetuti a girarsi dall'altra parte di fronte a quella partita di riso avariato, Floribert sparisce improvvisamente. Esce di casa per incontrare una persona. È un’imboscata. Il suo corpo sarà ritrovato due giorni dopo, strangolato, con segni evidenti di tortura. I suoi aguzzini gli avevano rotto un braccio, spezzato i denti, lo avevano ustionato su tutto il corpo. Una morte atroce per un giovane come tanti che decise di aggrapparsi ai sì e ai no che contano nella vita. I suoi famigliari capirono tutto sfogliando la sua Bibbia.

Floribert aveva evidenziato un brano in particolare. «Ai soldati che lo interrogano – e noi, che cosa dobbiamo fare? – Gesù rispose: “Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe”». Floribert lo fece. Sarà presto santo.

Matteo Spicuglia
COSE CHE CAPITANO
Rubrica di NUOVO PROGETTO

 

 

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