Il “lupo” della guerra

Pubblicato il 30-07-2022

di Rosanna Tabasso

Serviamo la pace con tutto il cuore, un cuore disarmato… “Dedichiamo la nostra vita, la nostra preghiera incessante a convertire il lupo della guerra”.

Queste parole della nostra Regola mi risuonano dentro in questi giorni nei quali il “lupo” della guerra si è fatto aggressivo ed è tornato a colpire. Non abbiamo saputo, o forse non abbiamo voluto, prestare attenzione al suo arrivo e adesso ognuno di noi si chiede come sia stato possibile non riconoscere i segni di una guerra vicino al cuore dell’Europa, come sia stato possibile che il “lupo” ci abbia colto di sorpresa, con tutti i sistemi consolidati dal dopoguerra a oggi, relazioni internazionali, vertici tra capi di Stato e governi, Ue, Nato e con i venti di guerra che soffiavano in quella regione dal 2014. Ognuno è sconcertato dal fatto che questa guerra in Ucraina non si sia potuta prevenire e che sia diventata una guerra contro la popolazione civile, dentro le città.
Comunque vadano le cose, una ferita inferta alla popolazione, nell’Europa del diritto, dei valori, della convivenza, non si rimarginerà facilmente; una nazione sarà da ricostruire e dai bambini agli anziani, tutti saranno segnati per sempre. Sarà segnato anche il popolo russo e chi questa guerra non la voleva, i giovani costretti a combattere. Comunque vadano le cose, tutti noi europei ci sentiremo più insicuri per il futuro, tutti più poveri, tutti sconfitti.

Tutti noi che crediamo alla pace abbiamo negli occhi le immagini delle città distrutte, degli eserciti incolonnati, i bagliori e le deflagrazioni delle bombe sulle case e non facciamo fatica a immedesimarci nella gente stipata nei rifugi, nella gente in fuga. Sentiamo più vicine le parole che nell’Antico Testamento Dio affida al profeta Geremia (14,17-18): “Tu riferirai questa parola: I miei occhi grondano lacrime notte e giorno, senza cessare, perché da grande calamità è stata colpita la vergine, figlia del mio popolo, da una ferita mortale. […] Anche il profeta e il sacerdote si aggirano per la regione senza comprendere”. Ancora una volta Dio piange per il suo popolo colpito da una ferita mortale, tra lo smarrimento di tutti, e ancora una volta prevalgono la mancanza di lungimiranza dei capi, l’indifferenza, l’egoismo dei più.

Le pagine difficili dell’Antico Testamento scritte dai profeti ci vengono incontro e sembrano scritte per noi oggi. Non vorremmo mai trovarci di fronte a parole cosi dure, ma comprendiamo che la storia oggi sta passando di lì e proprio quelle parole dure ci indicano la direzione da percorrere. Se mettono in luce i nostri errori, non è per condannare, ma perché ognuno si converta e viva (Ez 18,23). Se annunciano i tempi bui delle prove non è per schiacciarci, ma perché torniamo a Dio e riprendiamo a camminare sui suoi sentieri (Ez 20,11). Tra le macerie di certezze sgretolate del nostro oggi quelle parole sono un invito accorato rivolto a tutti noi, ai nostri governanti a ritornare a Dio con tutto il cuore: da soli non ce la facciamo a realizzare la pace, ma se ritorniamo a lui e facciamo alleanza con lui, la storia prende una piega diversa. Geremia vede un ramo di mandorlo fiorito mentre una pentola bollente è versata da settentrione su tutti gli abitanti della terra (Ger 1,11-13): mentre gli uomini distruggono ciò che hanno costruito, Dio fa ripartire la vita e un ramo di mandorlo annuncia il tempo nuovo che sta arrivando.

I profeti spingono ognuno, dal più piccolo al più grande, alla conversione del cuore, conversione della mente, della volontà verso Dio, perché tra le macerie sta già sorgendo una nuova vita. E ci danno testimonianza che realmente la vita riparte ed è una vita buona, migliore per tutti perché il popolo torna a riconoscere in Dio la propria identità. Dio bussa ancora e sempre al cuore dell’uomo perché non si perda, perché torni a vivere, perché possa vivere concretamente l’esperienza di passare dalla morte alla vita. Quando annunciano il Messia, il principe della pace, i profeti elencano le sue qualità, pienamente realizzate in Gesù.
Tra tutte una in particolare ho sentita necessaria per noi oggi: “Non verrà meno e non si abbatterà, finché non avrà stabilito il diritto sulla terra” (Is 42,4). Chi crede alla pace, come Gesù, in questo momento non può abbattersi, non può venir meno nella certezza che il ramo di mandorlo sta fiorendo nonostante la distruzione di oggi.

È una conversione di mentalità che dobbiamo cercare e chiedere: entrare nella determinazione che è di Gesù e abbracciare con lui la missione affidatagli dal Padre, la riconciliazione e la comunione tra l’uomo e Dio e tra tutti gli uomini. Solo così la pace è possibile, anche se richiede un forte impegno personale: “Ci sarà pace se ci sarà riconciliazione, se ci si chiederà reciprocamente perdono, se l’odio si scioglierà, se emergeranno rispetto, concordia, mansuetudine” (Sì – La regola del Sermig).

Ora la nostra opera è non far crescere l’odio che la guerra sta seminando, è fare tutto il bene che possiamo verso la gente ucraina, verso la gente russa, verso la nostra gente smarrita e impaurita, è affrontare il male con il bene, nel modo in cui Dio suggerisce: opere che traducano in gesti il suo amore, la sua misericordia, la sua passione per noi. Gesù li ha resi concreti con il suo dare la vita per aprire la strada di una vita nuova per tutti. In questo tempo rafforziamo la nostra fede in lui, non scoraggiamoci, lavoriamo, preghiamo, offriamo perché l’umanità trovi presto la via di una vita nuova, di un mondo nuovo.


Rosanna Tabasso
NP marzo 2022

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