Il gemito della terra

Pubblicato il 01-06-2023

di Claudio Monge

Il terremoto in Turchia e Siria: tanti precedenti, ma anche una grande responsabilità da parte dell’uomo

In queste settimane, il gemito della terra è stato fisicamente anche quello di migliaia di persone sepolte vive e mai raggiunte dai soccorritori, per un bilancio di morti accertati, a oggi non ancora definitivo, dalle proporzioni inimmaginabili in tempi antichi, per la diversità delle costruzioni e per una diversa distribuzione

Nella storia recente, le scosse peggiori in Turchia, terra sismica per antonomasia, si erano veri-ficate lungo la faglia dell’Anatolia settentrionale, che attraversa il margine settentrionale del Paese e il Mar di Marmara, vicino a Istanbul (città che da sola è di gran lunga più popolata delle dieci province del Sud colpite dai sismi del 6 febbraio scorso). Secondo gli esperti, questa sarebbe la prima scossa di magnitudo superiore al 7 grado registrata lungo il confine tra la placca araba e quella anatolica, da quando sono iniziate le rilevazioni all’inizio del secolo scorso. L’ultimo terremoto di queste dimensioni si verificò nel 1939 a Erzincan, a oltre 240km a nord-est dell’epicentro di lunedì. Ma la storia antica ci racconta qual-cos’altro, benché i dettagli si perdano talvolta nella notte dei tempi.

Un certo Matteo, monaco armeno vissuto fra il sec. XI e il XII, e morto nel 1144 durante l’assedio di Edessa (oggi Urfa) da parte dei turchi, ci ha trasmesso una rozza ma interessante cronaca che riguarda le regioni orientali, tra il V e il XII secolo, che fu pubblicata in francese nel Recueil des historiens des croisades (I,1-3; 1869). Da questa preziosa testimonianza possiamo evincere che le terre della Turchia meridionale e della Siria, sede di alcune delle più antiche civiltà dell’umanità, hanno una lunga storia di terremoti, che risale a migliaia di anni fa, ai regni degli Ittiti e alle città-stato della Mesopotamia. Già nel 115 d.C., un terremoto di magnitudo 7,5, secondo stime retrodatate dei geologi, devastò l’antica metropoli di Antiochia (su cui sorge l’odierna Antakya, devastata nel recente sisma) e quasi uccise l’imperatore romano Traiano, che vi stava svernando dopo una campagna militare. Ma tornando alla cronaca di Matteo d’Edessa, nel 1114 un terremoto mostruoso colpì le aree dell’attuale Turchia meridionale e della Siria settentrionale.

Il racconto del monaco assume colorazioni apocalittiche per descrivere ciò che si abbatté sulla terra: «Sembrava il frastuono di un esercito numeroso. Per la paura della potenza del Signore Dio, tutta la crea-zione si scosse e tremò come un mare agitato – scrive –. Tutte le pianure e le montagne risuonavano come il tintinnio del bronzo, si scuotevano, si muovevano e si agitavano come alberi in un uragano. Come una persona malata da tempo, tutta la creazione emetteva grida e gemiti perché, con grande timore, si aspettavano la loro distruzione». L’attualità di queste parole fa rabbrividire, al di là di quelli che sono i connotati della teodicea cristiana del tempo (il presunto coinvolgimento diretto di Dio, alla cui on-nipotenza non può sfuggire un evento così tremendo), in parte riscontrabile in quella islamica dei nostri giorni. In queste settimane, il gemito della terra è stato fisicamente anche quello di migliaia di persone sepolte vive e mai raggiunte dai soccorritori, per un bilancio di morti accertati, a oggi non ancora definitivo, dalle proporzioni inimmaginabili in tempi antichi, per la diversità delle costruzioni e per una diversa distribuzione demografica.

Ma le lacrime, nel tempo, non cambiano di intensità e amarezza. Tuttavia, l’apparente impotenza degli uomini in epoca di post-modernità, porta a interrogarsi in modo diverso sulla presunta ineluttabilità non tanto degli eventi naturali, quanto delle loro conseguenze. Avidità e sete di denaro facile, con un evidente disprezzo di elementari regole nella pianificazione immobiliare, non sono però meno detestabili delle indispensabili complicità politiche, per non parlare del cinico uso, sempre politico, di tali catastrofi, in prospettiva elettorale o, molto più semplicemente, in vista di un ormai insperato consolidamento di un potere vacillante. Sbollita la rabbia generata dalla disperazione, non sarebbe bene ritornare tutti insieme a riflettere sulla necessità di rimettere la vita umana e la sua sacralità al centro delle nostre scelte quotidiane, a tutti i livelli di responsabilità, da quelle che regolano i destini famigliari a quelle di coloro a cui affidiamo il destino di nazioni intere?

Claudio Monge

NP Marzo 2023

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