Il dolore venduto

Pubblicato il 07-05-2025

di Fabrizio Floris

«La paziente (mi diceva) che mangiava per non morire, che si uccideva mangiando. Un'altra spiegava: «so che mi fa soffrire, ma non riesco a lasciarlo» e poi mi sento come se stessi vivendo la vita di qualcun altro, «continuo a sognare serpenti, ma non capisco perché», «ogni volta che parlo con qualcuno, mi sento come se non fossi qui», «mia madre diceva che era per il mio bene, ma io mi sentivo morire», «non riesco a vedere un futuro per me. È tutto buio». A volte i libri di psicologi (psichiatri) contengono citazioni di quello che hanno detto loro i pazienti. Frasi virgolettate sparse in articoli, conferenze, libri e podcast senza aver mai ricevuto un consenso esplicito dai loro pazienti (la famosa privacy). É il «dolore venduto»: il roveto che brucia di fronte a cui togliersi i calzari, l'intimità delle persone, che, anziché essere custodita, diventa ragione di profitto.

Con la crescita della solitudine e dell'isolamento, con il venir meno delle reti sociali, di figure di ascolto come i sacerdoti è esplosa la necessità di confidarsi con gli psicologi (il cui numero è cresciuto notevolmente). A differenza del passato è un ascolto che nella maggior parte delle volte si paga e, nonostante la dimensione empatica, questo «patire dentro» rischia di rimanere solo tuo appena smetti di pagare. Ma questo potremmo dire è una delle possibili evoluzioni del mercato capitalistico dove anche le relazioni hanno un prezzo ed è così e non si discute.

Tuttavia, anche nell'economia di mercato esistono regole e diritti (per gli psicologi ci sarebbe in aggiunta il codice deontologico) per cui in sintesi si può affermare che quello che il paziente rivela allo psicologo dovrebbe rigorosamente rimanere tra di loro. Invece, può accadere di trovare in giro le tue parole, il tuo dolore, le tue emozioni e su questo tesoro che hai dato da custodire si fa lucro. «Sento che la mia vita non ha senso, come se stessi fluttuando nel vuoto», «ogni volta che mi chiedono come sto, non so cosa rispondere, perché non so più cosa significa stare bene», «mi sento spezzato, come se la vita non fosse altro che un mosaico di pezzi che non si incastrano», «non so più cosa significhi amare. E come se ogni volta che ci provo, qualcosa dentro di me si spezzasse». Infine, è arrivata la video-terapia con il serio rischio che il dolore dato alle piattaforme venga trasformato in marketing digitale.


Fabrizio Floris
NP febbraio 2025

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