Il credo della speranza

Pubblicato il 13-11-2021

di Annamaria Gobbato

«Sono un uomo di speranza perché so che la storia della Chiesa è una lunga storia, tutta piena delle meraviglie dello Spirito Santo.
Sperare è un dovere, non un lusso». Il cardinale belga Leo Suenens non si lasciava intimidire dai tempi non facili che la Chiesa e la società civile degli anni '70 attraversavano.
Fabbriche, università, famiglia, era tutto un fermento, segno che un mondo stava cambiando.

Perse le certezze – vere o presunte – del boom economico, il sentire comune sovente sfociava in aspre contestazioni contro tutti e ciascuno. Per Suenens tuttavia era il momento buono per sperare, quello della "spes contra spem" del La Pira di vent'anni prima… E la sua non è la speranza facile di chi non ha avuto mai grossi problemi: «Credo che Dio è nuovo ogni mattina» afferma nel '43, quando, rettore dell'università di Lovanio, viene inserito in una lista di soggetti da eliminare stilata dagli occupanti nazisti.
Salvato all'ultimo momento dagli Alleati, continua la sua opera in tema di rinnovamento liturgico ed ecumenismo. Grande protagonista del Concilio Vaticano II, scorge in quei mesi il compiersi dei primi passi di una nuova stagione ricca di grazia, una vera e propria "primavera della Chiesa".

Al Concilio ribadisce il ruolo dei laici nella Chiesa, in quanto autentici portatori di carismi, ottenendo che alcuni uditori prendessero la parola in assemblea.
Credeva fortemente che stesse avvenendo una nuova Pentecoste, anzi, che ogni giorno avviene una nuova Pentecoste: «Essa è qui, sotto i nostri occhi, come il chiarore dell'alba. E la Chiesa di domani, se resta fedele alla chiamata, sarà simile al Dio della speranza, "giovane ed eterna insieme", come cantava Peguy».


Annamaria Gobbato
NP giugno / luglio 2021

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