I volti della guerra

Pubblicato il 14-10-2022

di Marco Maccarelli

I villaggi intorno a Kiev e Chernigov sono un libro aperto.
Raccontano tutto il dolore dell’occupazione russa: gran parte delle case incendiate, bombardate o depredate. Distruzione e morte ovunque.
La maggior parte delle persone sono fuggite. Chi resta non ha più niente.
Anche questa volta siamo riusciti a portare gli aiuti direttamente alle persone. Rimaniamo sempre sorpresi di fronte al male e alla distruzione della guerra.
Nonostante tutto, siamo qui per creare ponti dove non ci sono più strade e ci siamo come Fraternità.
Tra chi non ha più niente, abbiamo incontrato gente semplice, persone come noi che senza volerlo si sono ritrovate al centro di una storia più grande.
Ecco i loro volti fragili, la loro quotidianità cambiata per sempre.
Se durante l'occupazione c’era da gestire una guerra in casa, ora c’è da fare i conti con una guerra che ha messo radici dentro le vite.

Questa guerra ha creato tanta sofferenza anche perché Russia e Ucraina sono due facce della stessa medaglia

Raccontare è elaborare, tenere vivo, trasmettere, fare uscire la sofferenza che si è accumulata per poter sopravvivere

Quello che ci ha colpito più di tutto è la grande dignità del popolo ucraino

Qui c'è un forte senso del rispetto e della gratitudine

Sono tutte persone che quando raccontano hanno occhi puliti con uno sguardo che veramente commuove

 

Alexander
Raccogliamo la sua storia in silenzio in una casa molto umile.
Alexander ha solo 63 anni. Gliene davo quasi 15 in più.

Quando l’abbiamo incontrato in casa sua era steso a letto con la gamba fasciata perché lui e sua moglie sono saltati su una mina mentre erano in macchina.
Grazie a Dio sono sopravvissuti. Appena ci ha visti si è tirato su e con una smorfia di dolore ci ha salutato.
Abbiamo iniziato a parlare. Ci ha raccontato un sacco di cose e delle medaglie che tiene appese in camera.

Quando Alexander ha saputo che una delle ragazze che era con noi, Silvia, compiva gli anni quel giorno lì, ha mandato la moglie senza dire niente a nessuno a prendere dei fiori che le ha donato prima che andassimo via.
 

Olga
Ci ha fatto entrare in quello che è rimasto della sua casa. Tutto bruciato, anche la macchina.
Ha voluto mostrarci il bunker, in cui la famiglia si era rifugiata durante i bombardamenti.

Appena entrata in quella che era la sua casa è scoppiata a piangere: quella casa non esisteva più.
Ci ha fatto vedere dove era la cucina, solo il camino era rimasto in piedi.

Il figlio e i nipoti sono sopravvissuti per miracolo. Stava costruendo la casa nuova dietro a quella vecchia.
Ora una è in piedi e l’altra non c’è più. Solo pezzi bruciati di piatti e bicchieri.
 

Olha
Ha perso due figli durante il bombardamento.
Qui i russi hanno bombardato senza pietà durante la ritirata da Chernigov.
Vicino alla sua casa è caduta una bomba da una tonnellata e mezzo che ha fatto una strage e un cratere alto sei metri.

I volontari delle associazioni cui ci siamo appoggiati per distribuire gli aiuti raccolgono le richieste e i dati della gente.

Nei villaggi dell’Oblast la gente non può permettersi il cibo ne altri beni di prima necessità.
Anche Olha vedendoci ha voluto raccontarsi.
 

Pavlona
La sua casa è stata distrutta due giorni dopo la fuga in un bunker a Chernigov. Quando è tornata nel villaggio tutto era bruciato.
Le esplosioni sono state così forti che le sue mucche hanno partorito prima del tempo.

La gran parte della guerra l'ha vissuta la gente che tendenzialmente è sempre la più povera. Il male si è accanito veramente su quelli che facevano già fatica, che vivevano nei villaggi, nelle baracche o comunque in case minimali.
 

Anton
Quando abbiamo consegnato gli aiuti, Anton ci ha abbracciati come segno di ringraziamento, ma anche per una condivisione umana.
Abbiamo ricevuto molti abbracci dalla gente che ha perso tutto: è come se la comunicazione passasse direttamente da cuore a cuore

Sulla sua casa sono piovuti i proiettili dai carri armati che hanno sparato, ci ha fatto vedere i pezzi delle bombe che sono cadute.
Ci ha voluto far vedere casa sua come era ridotta ora.

Yura ci ha presentato la moglie, che ci ha portato nel bunker dove abbiamo potuto fare anche delle riprese, ci ha fatto vedere dove hanno dormito per la gran parte del tempo.
C’erano i letti, la piccola cucina che avevano allestito. La loro casa era bruciata completamente, tutto era andato a fuoco.


Entrando nella vita di queste persone senza più nulla, il nonsenso della guerra ci è venuto incontro con tutta la sua irruenza.

Abbiamo incontrato tante storie, come Serghej, un nonnino di 78 anni che non si teneva in piedi da quanto era magro. Mi ha fatto impressione, aveva occhi profondissimi, praticamente è arrivato all’ultimo per prendere il pacco che pesava sui 20 kg. Eravamo preoccupati che riuscisse a portarlo, ci ha guardati con uno sguardo come per dire io ce la faccio.
Ha preso questo pacco e tutto traballante con queste gambine secche secche e si è diretto verso la macchina. Alla fine lo abbiamo sostenuto, però questa tenacia, questa determinazione, questa bellezza negli occhi di questo popolo è qualcosa di veramente disarmante. È gente semplice su cui si è accanito il male, veramente il male.
In un’altra casa ci ha accolto Anton, che ci diceva: «la mia casa non è stata distrutta, è stata “solo” mitragliata dall’esterno. Non ha ricevuto bombe che l’avrebbero bruciata, ma io ho perso tutto».

Non ha più lavoro, non ha più niente e vive con la sua bimba piccola. Dopo Anton siamo stati da un’altra famiglia. Facevano i calzolai.
In questo momento non riescono a fare niente del loro lavoro e quindi anche loro ci hanno chiesto aiuto per il cibo.

Al momento del rientro in Italia, ci rendiamo conto della necessità di creare qualcosa di continuativo per queste persone. Ovviamente le politiche e i governi dovranno fare la loro parte, però nel frattempo c’è vita che poi va avanti tutti i giorni.
Bisognerà chiedersi sul come aiutare a ricostruire in una certa direzione anche proprio dal punto di vista degli aiuti. Queste persone, questi volti della guerra devono continuare a interrogarci.


Occhi che parlano

Abbiamo portato cibo dove cibo non c'è.
Ci siamo addentrati fino ai confini con Bielorussia e Russia.
Abbiamo avuto paura?
Alcune volte si. Altre no.
Esplosioni in sottofondo.
Pericolo di nuovi attacchi.
Una vita in bilico.
Dove tutto può succedere.
Dove trovare la forza?
Guardandosi intorno.
Osservandosi attentamente.
Occhi impauriti. Straziati.
Occhi delusi.
Occhi affamati di rivalsa.
Occhi umili.
Occhi sfiniti dalle lacrime.
Bunker sotterranei.
Ex palestre come dormitori.
Case intere bombardate.
Carri armati parcheggiati come auto.
E se tutto questo fosse già normalità?
No, non può essere.
No, non deve essere.
La guerra fa schifo.
Senza se e senza ma.

Marco Maccarelli
NP giugno / luglio 2022

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