I semi del futuro

Pubblicato il 31-08-2009

di Renato Rosso


Il ciclone della secolarizzazione non investe solo il cristianesimo. Quale futuro per le religioni?

di Renato Rosso

 Uno storico amava ripetere che Maometto non attraversa i mari. Voleva dire, penso, che l’islam vero, che si identifica con la tradizione coranica, è solo quello dei Paesi islamici in senso stretto.
Il musulmano che viene in Italia, sradicato dalla sua terra, per alcuni mesi continua come prima: preghiera, dieta, vestiario… Ma dopo i primi mesi, per alcuni dopo qualche anno, le cose cambiano. Per la donna non vestire più il burka non è questione di moda, ma di etica. Per un musulmano iniziare a fumare, bere alcool, mangiare carni proibite dal Corano, significa abbandonare la propria religione sotto l’effetto “ubriacatura” dell’occidente.

Non pensiamo che i 7 milioni di musulmani in America conservino integralmente la loro religione! Conservano, questo sì, la loro identità religiosa. A chiunque di loro chiediamo “Chi sei?” ci risponderà “musulmano”: nella pura tradizione coranica la politica e ogni attività sociale è parte integrante della religione, come era per noi al tempo del Sacro Romano Impero. Ma sappiamo quanto si è svuotata la loro identità.
Ciò non esclude che alcuni si conservino veri musulmani, alcuni integralisti e alcuni anche fanatici.

Lo stesso islam dei Paesi islamici non è più la religione compatta ed integrale di pochi anni fa. Sta sviluppandosi in Asia tra i musulmani una pesante schizofrenia religiosa: l’identità formale è una, la realtà è un’altra. Esternamente sembra non sia capitato nulla, ma di fatto è in atto una rivoluzione senza precedenti.

Se all’inizio di aprile qualcuno fosse capitato nel mio accampamento di Khulna in Bangladesh, avrebbe pensato che l’islam si mantiene integro. Avreste potuto vedere alle ore 5,15 tutti gli uomini, giovani e adolescenti maschi, alzarsi dalle loro tende, purificarsi secondo la legge del Corano e correre verso la moschea vicina. Il 13 aprile 2004 sono arrivati in accampamento due mini televisori, in bianco-nero, vecchi e in cattivo stato. Si poteva comunque intravedere qualche immagine e qualche suono, anche se molto confuso. È bastato questo. Già dal 14 mattina le grida dai minareti non furono più sufficienti. Il Maulana, che invitava alla preghiera, cominciò a chiamarli per nome, poi a ripetere le benedizioni che Allah avrebbe dato, poi le maledizioni che avrebbero meritato, ma a nulla valse. I miei amici erano “in coma”. La televisione ha solo reso manifesto ciò che sotto l’apparenza non esisteva già più.

Un secondo esempio. Dieci anni fa il 90% dei miei Jajabor (n.d.r. zingari, con cui d. Renato vive e lavora) faceva il digiuno di Ramadan, poi si è passati all’80%, poi al 50%, poi ancora al 30%. Oggi non più del 20% dei miei amici di Khulna fa il digiuno, ma al momento dell’Iftar, cioè dello “spezzare” il digiuno, tutti sono presenti. Tutti celebrano il digiuno fatto durante la giornata, che però non hanno fatto. Questa è la storia di una cultura che crolla! Non dico la religione, ma la cultura islamica.

La cultura indù segue la stessa legge. Indù e musulmani, avendo aperto le porte all’occidente, stanno entrando nel ciclone della secolarizzazione, che non perdona nulla e nessuno. I grandi valori della Ghita e del Corano, come quelli della Bibbia, certo rimarranno, ma saranno vissuti in modi molto diversi dalle generazioni future.

 Per la cultura cristiana c’è una differenza e cioè che il processo “sismico” è cominciato già mezzo secolo fa. Il processo di secolarizzazione, iniziato tra le classi più socialmente evolute, non ha tardato a raggiungere tutti i segmenti della società e ogni angolo della Chiesa è stato scosso. È un processo tutt’altro che finito. La cultura della cristianità sta crollando; non il Vangelo, né la Chiesa, ma la cultura di questa Chiesa. La casa dove celebriamo la vita cristiana è piena di orpelli dell’impero romano, del Sacro Romano Impero e altri più moderni… del Medioevo.L’architettura delle chiese, che ha raggiunto altissimi livelli in quelle epoche, è rimasta la stessa. Il vestiario delle liturgie è quello di allora: i chierichetti vestono come S. Tarcisio, i diaconi come i consoli romani, mentre i preti e i vescovi con gli abiti dei principi e re di allora.

La musica, così creativa nel Medioevo, si è poi paralizzata per secoli. Fra qualche anno andremo a sentire qualche concerto di Gregoriano alla Scala di Milano, tanto è una musica preziosa, ma averla fatta cantare per 900 anni agli italiani, ai canadesi, cinesi, giapponesi, sudafricani ecc., tarpando così la creatività di interi popoli, forse è stato troppo.
Già prima del ‘68 si è cominciato a dire dei no e il terremoto non è finito. Ma non ci devono scoraggiare i crolli del mondo che credevamo eterno. Le culture non sono eterne, anzi non sono mai resistite più di 2000 anni.

Vorrei azzardare una profezia di grande speranza.
L’Asia, incontrandosi con l’occidente, non prenderà solo coca-cola, jeans, droga e discoteche ma anche dei valori, che pure nell’occidente ci sono. In questi 2000 anni il cristianesimo ha seminato alcuni semi indistruttibili nelle nostre culture: primo fra tutti l’attenzione all’altro, il rispetto, il riconoscere l’altro. Il linguaggio cristiano l’ha chiamato “amore al prossimo” (che rende l’amore a Dio più vero).

Se c’è stata tanta violenza tra noi, c’è pure stato tanto martirio e tante vite date per gli altri. Oggi ne vediamo un segno nel volontariato. Alcuni si dichiarano atei, sono entrati nelle file del volontariato e non sanno che alla radice del desiderio di aiutare l’altro ci sono i preziosi semi del cristianesimo.
Questi semi resisteranno a qualsiasi crollo di una cultura cristiana invecchiata eccessivamente. E dalle ceneri di una distruzione di cui non possiamo prevedere le dimensioni, i semi cristiani germoglieranno in una cultura nuova, insieme ai “semi del Verbo” presenti in tutte le culture e quindi saranno presenti anche nella nostra era post-moderna.

Da parte loro, anche musulmani e indù si spoglieranno dei loro abiti troppo ammuffiti. Anche dal loro terremoto alcuni semi preziosi, come il rispetto per la natura nel mondo indù o il senso della preghiera nel mondo islamico, resteranno vivi sotto le ceneri.
Avremo tutti da guadagnarci, se saremo capaci di non continuare a scomunicarci a vicenda.

di Renato Rosso
Missionario fidei donum in India e Bangladesh
da Nuovo Progetto maggio 2005

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