I minimi

Pubblicato il 30-01-2013

di Flaminia Morandi

Rodolfo Papa, Matrimonio Annamaria TaigiAnna Maria Taigi era di Siena, figlia di un farmacista squattrinato trasferito a Roma in cerca di miglior fortuna. Bella ed elegante, si mise a fare l’operaia e andò a servizio. Poi conobbe un facchino di casa Chigi, se ne innamorò, si sposò, e da lui ebbe sette figli. Ma la paga del marito era troppo scarsa per tirare avanti la numerosa famiglia.
Anna Maria Taigi era sempre serena e sorridente. Il suo segreto era la preghiera continua e le meditazioni in un angolo della sua camera, davanti ad un altarino col lume sempre acceso. Le capitava durante questi colloqui di vedere un sole con una corona di spine. Diceva allora al Signore: “Lasciatemi tranquilla: ho da fare, Signore. Sono una madre di famiglia”. Soffriva di atroci mal di testa che si intensificavano ogni venerdì. Sorrideva: “Le pene del Purgatorio saranno peggiori”. Di venerdì morì, dopo sessantotto anni di fatica e dolore, il 9 giugno 1837. Sulla sua tomba in una chiesa di Trastevere c’è scritto semplicemente: “madre di famiglia”.

Anna Maria Taigi è vissuta nell’ottocento; ma anche recentemente Giovanni Paolo II ha beatificato persone comuni, madri e padri di famiglia contemporanei che nel corso della loro vita non hanno fatto niente di straordinario; semplicemente non hanno smesso di essere fedeli al Signore nelle piccole cose di ogni giorno, un giorno dopo l’altro come una riga dopo l’altra; e neanche loro sapevano mentre vivevano di stare scrivendo con la loro vita un libro straordinario.

Vuoi essere santo? Compi il piccolo dovere d’ogni momento: “fa quello che devi e sta in quello che fai”, diceva un santo moderno. La santità grande consiste nel compiere i piccoli doveri di ogni istante. Il santo non è un eroe né un superuomo; è una persona come tutti. Che ha paura, come tutti. La differenza è che il santo prega; e cioè parla con Dio, come Anna Maria Taigi. Dice il protagonista del “Diario di un curato di campagna” di Bernanos: Io, davanti alla morte, non cercherò certo di fare l’eroe né lo stoico. E se avrò paura dirò: ho paura. Ma a Gesù Cristo.

Il santo è una persona piena di debolezze, come tutti. La differenza è che le sue debolezze le conosce e non si fa illusioni su se stesso. San Francesco di Sales diceva che il Signore manda ai suoi amici tre tipi di prove: le avversità, le tentazioni e la prova dell’indignazione: che è appunto l’umiliazione di sopportarsi, e vedersi ricadere continuamente nei propri errori. Di tutte, questa forse è la peggiore perché insegna l’umiltà attraverso l’umiliazione. La differenza è che il santo non si scoraggia; vive in pace, con umorismo e capacità di sorridere.

Rodolfo Papa, Il Giudizio UniversaleNon ci libereremo mai dei nostri difetti, primo di tutti l’amor proprio. I più santi, diceva san Francesco di Sales, non sono quelli che commettono meno peccati, ma quelli che hanno più coraggio, più generosità, più amore; quelli che fanno più sforzo su se stessi, e non hanno paura di inciampare e neanche di cadere e sporcarsi un po’, pur di avanzare. Con altre parole san Giovanni Crisostomo diceva la stessa cosa: “Gli unici a non ricevere ferite sono quelli che non combattono; quanti si lanciano con ardore contro il nemico, sono quelli che ricevono i colpi”.

Vivere da cristiani significa affrontare questa battaglia a viso aperto sul terreno delle piccole cose di tutti i giorni, nei sacrifici in famiglia, con i colleghi di lavoro, con gli amici e i nemici, con se stessi. I cristiani vivono sepolti nel sacrificio silenzioso del lavoro, dell’onestà e della umiliazione quotidiana offerti a Cristo, sepolti dalla logica dell’aggressività e del potere, della superbia e del successo a tutti i costi, della ricchezza ostentata e del rumore del mondo.
Sotto questa coltre, quotidianamente tanto pesante, i cristiani vivono come semi nell’attesa fiduciosa di diventare alberi grandi in un giorno che non sanno.


Flaminia Morandi
NP marzo 2005

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