I giovani e il Mediterraneo
Pubblicato il 12-05-2025
Le giovani generazioni sono il vero potenziale inespresso dei Paesi dell’area mena (Medio Oriente e Nord Africa). La pandemia da Covid e i significativi impatti sulla vita sociale ed economica si sono manifestati in una regione ancora sconvolta dagli stravolgimenti innescati quindici anni fa dallo scoppio delle cosiddette “Primavere Arabe”. La disoccupazione giovanile è ancora aumentata. Negli ultimi anni poi, le proteste e i disordini sono cresciuti un po’ dappertutto, in alcuni casi con percentuali impressionanti (Algeria del 269% e Libano del 1.743%) E nella gran parte dei casi i protagonisti delle nuove rivolte di piazza sono proprio i giovani.
Percepiti dai propri governi come “questione da affrontare”, oppure come minaccia e da organizzazioni estremiste e terroriste come “manovalanza da reclutare”, raramente sono considerati come la risorsa su cui puntare per un futuro di vero progresso. La maggior parte dei giovani dell'area mena ha meno di 30 anni, con punte del 40% degli under 25 negli Emirati e fino al 70% nello Yemen. A titolo di esempio, in tutta l'Europa meridionale la popolazione under 30 è ormai meno del 20%.
Il nodo principale per questi giovani è l’accesso al mercato del lavoro e a condizioni lavorative che siano dignitose e consentano loro di avere un futuro meno precario o marginalizzante e dunque non li spinga verso gli estremismi o ad emigrare. Se il tasso di disoccupazione giovanile nei 27 Paesi dell'ue è ormai sotto il 15%, con tassi più elevati in Italia e Spagna (30%), nei Paesi della regione la disoccupazione giovanile è superiore al 30% e in alcuni casi anche oltre il 40% , soprattutto nelle aeree rurali in via di spopolamento e in diverse aree urbane. Associata a scarsa istruzione, condizioni abitative precarie, povertà diffusa e insicurezza, uccide la speranza. E le disparità di genere sono spesso assai più marcate che nell'Europa meridionale.
Per diversi di questi Stati poi, le ulteriori sfide legate ai conflitti anche armati hanno un impatto devastante sulla vita dei bambini e dei giovani, anche in termini di crescenti problemi di salute mentale. Ed il problema non potrà che peggiorare nei prossimi anni, con un crollo della mortalità ma non parimenti della natalità, i cambiamenti climatici (per esempio l'accesso alle risorse idriche) e le trasformazioni tecnologiche.
Molti governi si rendono conto della necessità di investire su questo straordinario capitale umano, facilitando la transizione dall’istruzione al mercato del lavoro, migliorando le opportunità di formazione e sostenendo la creazione di imprese. Così anche l'Unione Europea ha sviluppato molti programmi in questo senso, finalizzati a favorire lo sviluppo socioeconomico, la stabilità politica, l'integrazione regionale e la cooperazione su tematiche legate all'educazione, al lavoro e alla partecipazione sociale dei giovani. Considerando anche la buona notizia del crescere tra i giovani di movimenti, organizzazioni, ong, che testimoniano una volontà di prendere in mano il proprio destino e di cambiamento: una risorsa di partecipazione sociale e politica che va riconosciuta, incoraggiata e sostenuta.
Non resta che augurarsi che le conclusioni dei molti forum, convegni, riunioni e vertici degli ultimi anni trovino ora una azione decisiva nell'operato della nuova delega per il Mediterraneo istituita in seno alla Commissione europea. Investire in formazione, in partecipazione, in creazione di imprese (nel campo della lotta al cambiamento climatico, delle rinnovabili, del turismo, del recupero urbano, dello sviluppo rurale), soprattutto nelle aree dove sono avvenuti devastanti conflitti, diventi una leva di emancipazione di questi giovani, protagonisti della costruzione di un futuro di pace e di progresso sostenibile per l'intera regione.
Luca Jahier
NP febbraio 2025