Gülen

Pubblicato il 16-01-2025

di Claudio Monge

Fethullah Gülen, intellettuale e fondatore del movimento Hizmet (Servizio), che dal 1999 viveva in Pennsylvania, si è spento il 20 ottobre all’età di 83 anni. Se ai più questo nome risulta praticamente sconosciuto, è impossibile declinare gli ultimi quarant’anni di storia repubblicana turca, senza fare riferimento a lui, nel bene e nel male. Nato nel 1941 vicino a Erzurum, nel nord-est della Turchia, Gülen è salito alla ribalta fin dagli anni '70 (dopo un trentennio di vita più o meno nascosta, essenziale a crearne un profilo non solo di predicatore religioso ma anche di mistico islamico). Egli ha sempre sostenuto la necessità di un’istruzione moderna per i suoi compatrioti, di un attivismo basato sulla fede islamica e dell’apertura al dialogo tra confessioni religiose per la coesione sociale.

Negli anni, il movimento che da lui prende vita, crea una rete di istituzioni, centri culturali e scuole in oltre 160 Paesi, istituisce diversi gruppi no-profit affiliati (tra cui la Journalists and Writers Foundation e l’Alliance for Shared Values), e organizza, con efficienza e grandi mezzi, seminari e conferenze in mezzo mondo. Ma un’organizzazione così potente e pervasiva, non può non avere dei lati oscuri e suscitare interrogativi sulla parte sommersa di un grande iceberg, fatta di interessi politico-economici e una tendenza a stabilire un controllo burocratico sullo Stato. Hizmet non ha mai creato un partito che direttamente fosse espressione delle sue posizioni, ma l’ascesa al potere di Tayyip Erdoğan molto si è giovata dei legami ideali con la visione del movimento e, per oltre un decennio, il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (akp) dell’attuale presidente, l’ha abbracciata con entusiasmo, facendo arrabbiare non poco gli eredi del kemalismo laico repubblicano. Ma l’idillio manifesta le prime crepe fin da fine 2013, quando il partito di Erdoğan rimane coinvolto in un grosso scandalo di corruzione.
Diversi membri dell’akp vengono arrestati – tra cui il figlio dell’allora ministro dell’Economia, quello del ministro dell’Interno e il direttore generale di Halkbank, una grande banca controllata dallo Stato. Alcuni ministri del governo vengono costretti a dimettersi.
Nel febbraio del 2014 due giornali turchi filo-governativi pubblicano un’inchiesta per denunciare l’esistenza di un vastissimo programma di intercettazioni messo in piedi dalla magistratura ai danni ancora dei membri dell’akp Molti sostengono che Gülen abbia un ruolo centrale nella vicenda. La reazione non si fa attendere. Nel dicembre del 2014, la polizia turca arresta decine di persone in tredici province del Paese, tra cui molti giornalisti che lavoravano nei media critici verso il governo.

L’accusa nei loro confronti è di avere cospirato insieme a Fethullah Gülen per indebolire il governo; il movimento Hizmet viene sempre più spesso associato a un’organizzazione terroristica: una sorta di para- Stato con l’obiettivo di rovesciare il governo. Il fallito golpe contro Erdoğan del 2016 è l’evento perfetto per la resa dei conti finale. Il governo inizia un’azione sistematica di smantellamento del movimento di Gülen: licenziamenti e azioni penali contro centinaia di migliaia di persone considerate vicine al predicatore o parte della sua organizzazione (un’azione che tenta di estendersi anche al di fuori dei confini nazionali turchi, ma con meno successo). La Turchia avanzerà anche più volte agli Stati Uniti la richiesta di estradizione nei confronti di Gülen, mai concessa perché le prove del suo sostegno al colpo di Stato non saranno mai davvero fornite.
L’altro giorno, commentando il decesso del leader religioso, il ministro degli Esteri turco, Hakan Fidan, definendolo la guida di una “organizzazione oscura” che rappresenta ancora una minaccia per la Turchia, ha esortato i suoi seguaci a tagliare i ponti con esso. Premessa a future azioni repressive o velato tentativo di voltare pagina?
 

Claudio Monge
NP novembre 2024

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