Guarire la memoria ferita

Pubblicato il 04-04-2025

di Claudio Monge

Dopo pochi giorni dalla caduta di Bashar al-Assad, o della sua “evacuazione” da parte di Mosca, è iniziata la guerra diplomatica ed economica (sperando che ci si fermi lì), per rimodellare la Siria. Come già nel 2011, gli Stati Uniti stanno cercando ancora una volta di guidare il processo. Washington punta a una Siria fedele “all’ordine americano”, che negli ultimi decenni si è rivelato essere, e non solo in Siria, più un “disordine”.

Il governo turco non si è limitato alle dichiarazioni programmatiche e, già il 12 dicembre 2024, ha inviato a Damasco il capo dei servizi segreti, İbrahim Kalın, per incontrare la leadership del governo provvisorio siriano. Tutti sono più o meno concordi nel sottolineare che cosa non vorrebbero vedere nel futuro della Siria: da una nuova escalation jihadista a un eccessivo rafforzamento dei curdi. Pochi, però, sembrano davvero sottolineare che è assolutamente fondamentale favorire l’autodeterminazione del popolo siriano, dopo anni di lacrime e sangue. La decisione di sostenere il periodo di transizione e il processo di ricostruzione ha conferito legittimità al governo provvisorio guidato dall’Hayat Tahrir al-Sham (hts), attore materiale della svolta siriana, unanimemente considerato come gruppo terroristico.

Ma è ormai una costante della politica internazionale accordare facilmente il titolo di terrorista a chi abbia il torto di opporsi alle forze egemoniche in campo. Mentre chi da sempre si appropria dell’esclusività dell’ardua difesa della democrazia, in casa propria e in quella degli altri, non di rado si distingue per azioni militari che definire terroristiche sembra quasi riduttivo. Il pragmatismo di Al Jolani, capo dell’hts, è più una necessità che una vera scelta. Si tratta di rimuovere l’hts dalle liste delle organizzazioni terroristiche e garantirne la legittimità internazionale, revocare il Caesar Act (che prevede il perdurare di sanzioni ai supporter del regime siriano intaccando, di fatto, il processo di ricostruzione del Paese) e consentire gli aiuti umanitari. In questa fase incerta di transizione, le minoranze in genere, e i cristiani in particolare, sono chiamati a una svolta, evidenziata con autorevolezza, qualche settimana fa, dal patriarca maronita Beshara Raï.

Se gli Assad, padre e figlio, appartenenti alla minoranza alawita, hanno governato la Siria con pugno di ferro per 53 anni, in nome di una alleanza delle minoranze, strumentalizzate per demonizzare l’islam sunnita, maggioritario in Siria, e portando, in particolare, alla repressione di una rivolta dei Fratelli musulmani ad Hama (febbraio 1982), durante la quale furono massacrati decine di migliaia di siriani, gli altri minoritari (i cristiani per primi), convinti di rendere servizio alla loro sopravvivenza, hanno a lungo taciuto su crimini di cui conoscevano l’esistenza, rendendosene implicitamente complici. A questo proposito, e per la prima volta in pubblico, l’arcivescovo maronita di Damasco, mons. Samir Nassar, ha fatto autocritica sul comportamento delle Chiese presenti in Siria. In un mondo in cui tutti controllavano tutti e la delazione era uno strumento di potere, anche non pochi fedeli e membri del clero hanno consegnato nelle mani dei carnefici fratelli e sorelle delle loro comunità. Sono ferite che richiederanno tempi lunghi per essere rimarginate.

Mons. Jacques Mourad, arcivescovo siro-cattolico di Homs, Hama e Dabek, anziano membro della comunità di Mar Musa, fondata dal gesuita padre Paolo Dall’Oglio, parla di una “rivoluzione dello sguardo”, una liberazione fondata sulla guarigione della memoria ferita. Nella prospettiva di un’agognata nuova Siria, mons. Jacques, sottolinea la necessità di divenire attori positivi e collaborativi, di assumersi delle responsabilità non tanto come membri di comunità confessionali ma nel nome di una cittadinanza inclusiva nella difesa di un sistema democratico non discriminatorio. A proposito di giustizia, il prelato non adotta giri di parole: «Abbiamo combattuto contro l’ingiustizia ma non perché la sharia possa sostituire il Palazzo di Giustizia».


NP Gennaio '25
Claudio Monge

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