Giovani, ma troppo soli

Pubblicato il 25-01-2025

di Gian Maria Ricciardi

La loro solitudine, dopo il Covid, s’è aggravata. Si vede, si sente, si legge nella cronaca di tutti i giorni. La metà dei ragazzi pensa che i genitori non li capiscano; dieci su cento, dopo gli studi, finiscono nella “zona grigia” dei neet. Trenta su cento hanno problemi di contatti, parlano poco, vagano soli. Troppo soli.

Succede a scuola, dove il programma è tosto e chi è più fragile, si siede. E, spesso, si tuffa sul telefonino per cercare un volto amico e scrivere dei messaggi a qualsiasi ora. È il grido di allarme della Generazione Zeta: «Non abbiamo più affetti veri, soltanto contatti virtuali». Il racconto di Davide: «Per non morire, ho dovuto spegnere il cellulare; mi hanno salvato i campi di calcio».
E da Seattle parte la class action delle scuole pubbliche contro Instagram e TikTok: «Avvelenano la mente dei nostri ragazzi».
E poi resta la cronaca: le aggressioni si ripetono. A Brescia, un sedicenne viene arrestato perché semina il panico per le strade della città; a Napoli si sequestrano due coltelli al giorno; cresce l’uso della droga (quella nuova si chiama xilazina); a Padova una ragazza si butta dal secondo piano della scuola; a Rozzano si uccide per rubare le cuffie al coetaneo; a Senigallia s’è sparato a 15 anni. E l’elenco continua.

Ma che succede? C'è qualcosa di nuovo tra gli adolescenti: è la consapevolezza del disagio. Sono coscienti, appunto, delle difficoltà psicologiche ed emotive che la pandemia ha acuito. Gli studenti delle scuole (specie nelle superiori) stanno chiedendo aiuto a professori e presidi che chiedono servizi di ascolto e strumenti.
Ascolto, appunto! La prima risposta devono forgiarla genitori, professori, psicologi.

Si dice, frequentemente, che l’Italia è un Paese di anziani, ed è certamente vero; ma possiamo noi coi capelli bianchi comprendere l’universo dei ragazzi?
Loro vivono le contraddizioni e le incertezze di un sistema che non esisteva nemmeno quando noi avevamo la loro età. Sembra strano, ma la nostra giovinezza è stata tanto diversa dalla loro. La metà dei giovani, tra i 18 e i 25 anni, ha affermato di avere sofferto di ansia e depressione a causa della pandemia. Per la stessa ragione, il 62,1% ha cambiato la propria visione del futuro.
Sono solo alcuni dei dati emersi dal rapporto Generazione Post Pandemia del censis. Dall’Internet Festival 2024 di Pisa un altro segnale: «Negli studenti cresce sempre più l’abitudine a relazioni via cellulare e il consumo di videogiochi. Alla base ci sono i rapporti distrutti dal Covid, che vanno ricostruiti per fermare o frenare comportamenti sbagliati e rischi».

Molti like, pochi amici: solitudine e noia nell’era dei social.
E meno male che gli oratori stanno scrivendo una pagina nuova, rivoluzionaria, proficua, coinvolgente, coraggiosa come, nell’Ottocento, quelle dei “santi sociali”.
 

Gian Mario Ricciardi
NP novembre 2024

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