Felicità è volersi bene

Pubblicato il 05-12-2016

di Elisabetta Germak

Di Elisabetta Germak - Può succedere che un incontro diventi carezza di Dio. Capita a volte di incontrare nel cuore buono di una donna, un uomo, un bambino, una luce che ti accompagna per sempre. Dieci anni fa, quasi per caso, abbiamo aperto la nostra porta a bambini affetti da gravi patologie, spesso oncologiche. Come per le altre accoglienze dell’Arsenale della Pace, anche questa non è stata programmata, è nata da un incontro. La telefonata di un medico ci segnalava una bambina malata con la sua mamma in arrivo dalla Romania, non sapevamo di più. Abbiamo subito detto sì e tutto è iniziato. Dopo questa prima famiglia ne sono arrivate tante altre, non ci siamo fermati.

Abbiamo capito che quell’incontro non pensato era un appuntamento con Dio, che ci aspettava lì per aprirci il cuore e gli occhi. Ci siamo accorti di questo bisogno, nella nostra città, abbiamo conosciuto la realtà di tante famiglie che lasciano i propri Paesi in cerca di una speranza di trattamento e guarigione perché dove sono nati non esistono cure.

L’ospedale infantile era disposto a curare questi bambini, ma servivano case pronte ad ospitarli, e così ci siamo resi disponibili. Nel 2006 nasce Casa vita ai bambini.

In questi dieci anni di vita abbiamo conosciuto bambini italiani, venezuelani, khirgizi, marocchini, georgiani, albanesi, rumeni, macedoni, tra loro così diversi, ma per noi tutti ugualmente attesi, accolti, fasciati, curati, amati! Poco a poco ci siamo accorti che non bastava essere casa, siamo diventati famiglia che accoglie famiglie, sogni e speranze, gioie e dolori e insieme condividiamo la vita.

Tra tanti volti abbiamo incontrato quello di Zholboldu e della sua mamma. Quando è arrivato da noi Zholboldu era un ragazzo di 11 anni proveniente da Khirgizistan, “un Paese bellissimo, con tante montagne e tanti prati”, ci raccontava spesso. Poco tempo prima un dolore improvviso alla gamba lo aveva fatto trasferire dalle sue belle montagne all’ospedale di Bishkek, la capitale del suo Paese. La diagnosi è tremenda: osteosarcoma alla gamba destra. Noi non possiamo curarti dissero i medici, la tua sola speranza è l’Italia. La mamma non ha dubbi, andrebbe ovunque per salvare suo figlio. Così dopo mesi di chemioterapia e grazie ad una associazione che organizza il viaggio e le cure a Torino, Zholboldu inizia la sua nuova vita in Italia ed è subito accolto da noi.

“Mi ricordo del mio primo giorno in ospedale, è passato 1 anno e 1 mese, non pensavo di stare qui così tanto tempo. Quando sono partito nessuno mi aveva detto quanto sarei stato lontano da casa, dal mio papà, dai miei fratelli e dai miei amici. Dovevo solo fare l’operazione. Pensavo che in una settimana tutto sarebbe finito, pensavo che in pochi giorni sarei potuto tornare a casa”. Zholboldu e la sua mamma restano con noi oltre un anno, sentono che questa è davvero la loro casa, sentono forte la nostalgia dei loro cari, ma scoprono anche un affetto e un amore che li accompagna e li avvolge. “Mi arrabbiavo quando in ospedale la mia mamma e gli altri bambini dicevano: torniamo a casa. Per loro casa era il Sermig. Invece per me casa è il Khirgizistan, non il Sermig. Ora invece penso di avere due case. Anche il Sermig è casa mia perché ho trovato tanti amici. Prima di arrivare qui non sapevo cosa volesse dire ti voglio bene. Ora lo so! Qui l’ho sentito ripetere tante volte!”.

Ecco che per noi la cosa più preziosa è proprio questa: poter accogliere e fasciare la sofferenza di questi bambini e famiglie. Il senso di tutto è solo l’amore, il bene che vogliamo loro. Non possiamo guarirli tutti, ma possiamo amarli, far loro sperimentare di quanto bene è capace un cuore che ama, che restituisce l’amore che riceviamo da Dio. È la sola risposta che vale di fronte al dolore e alle lacrime. Nonostante un anno di cure, due operazioni, l’amputazione di una gamba, Zholboldu è mancato a Luglio tra le braccia del suo papà e della sua mamma. Prima di partire per tornare a casa ci ha lasciato delle parole che continuano ad insegnarci quello che con la sua vita ci ha mostrato ogni giorno: “So che ho metastasi ai polmoni, ma ho deciso di tornare a casa per riabbracciare il mio papà ancora una volta. Ho un sogno: vorrei fare un Sermig nel mio Paese, in montagna, dove ospitare tanti giovani che si perdono con cose brutte. Vorrei aiutarli a vedere le cose belle della vita che ho visto io. Non so se starò meglio, ma so che sarò felice. Anche adesso sono felice perché ci sono tante persone e amici che mi vogliono bene e a me basta così! Per me la felicità è questo: volersi bene ogni giorno”. Spesso, dopo aver parlato con i medici, ho pensato che non c’era più nulla da fare. Zholboldu ci ha dimostrato, con la sua vita che continua, che c’è ancora tanto da fare. C’è sempre ancora tanto da sorridere, da vivere, da giocare, da vedere, da donare, da amare! Zholboldu ci ha portato nel cuore di Dio, dove l’amore vince anche la morte.




Foto: GOTICO/NP

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