Fedi alla prova

Pubblicato il 20-04-2020

di Claudio Monge

Cristiani, ebrei e musulmani tra istinto e razionalità.

 

In un tempo di emergenza sanitaria globale, si fa un gran parlare della “democraticità” del virus, che non conosce barriere geografiche, sociali, politiche, culturali e religiose. In realtà, se nessuno è al riparo dalla possibilità di essere infettato, non è certo la stessa cosa essere un senza fissa dimora o un rifugiato nei campi profughi, piuttosto che confortevolmente rintanato nella propria abitazione; è l’esempio più eclatante dell’incidenza delle differenze sociali e delle condizioni storico-ambientali! Questa crisi tuttavia, anche al sud del Mediterraneo, sta determinando nuove regole di convivenza, all’interno di una generale forte limitazione di alcune libertà fondamentali: tra queste, la libertà religiosa - specialmente nella sua dimensione cultuale comunitaria. È un aspetto molto delicato che tocca intimamente il vissuto quotidiano di milioni di persone. Quando il libero esercizio della pratica religiosa che, soprattutto in un momento di crisi, è fattore di senso essenziale al mio vissuto, è reso impossibile dai divieti imposti alla vita pubblica, posso facilmente considerarlo un abuso inaccettabile! Non solo. Qualcuno ha fatto notare come l’emergenza coronavirus ci obbliga a ripensare la nostra religione, non solo intellettualmente, ma anche visivamente, emotivamente e antropologicamente.

 

Questo è un formidabile banco di prova per la nostra teologia: liturgia e vita sacramentale, ecclesiologia e relazioni tra Stato e Chiesa in primis. La nostra teologia morale, poi, è fortemente messa alla prova, visto che epidemie e pandemie tendono a risvegliare in tutti noi brutali istinti di sopravvivenza, non raramente a detrimento del prossimo! Al cuore della Chiesa cattolica il rischio è dare risposte emergenziali che riflettono un approccio ancora troppo clericale e ministeriale, come se la sospensione della vita liturgica ordinaria comportasse anche la sospensione dello “spirito liturgico”, impedendo di scoprire che c’è una “sacramentalità” che non dipende dai sacramenti in sé. Gli altri universi religiosi abramitici, pur senza avere una struttura comparabile di riti e ministeri e, tanto meno, una “classe sacerdotale”, si muovono anch’essi in terreni ad oggi inesplorati.

 

Per i rabbini in genere, il dovere di salvaguardare la propria vita e la propria salute e la vita e la salute degli altri è halakhico (giuridicamente regolato) ma comporta, tuttavia, adattamenti rituali senza precedenti. Il rabbino capo di Israele ha chiesto di sospendere la pratica del bacio della Mezuzah (stipite della porta contenete passaggi della Torah), e i rabbini europei hanno richiesto a coloro che hanno sintomi legati al virus di non andare in sinagoga per lo Shabbat. Il mondo islamico ha fatto riferimento a un hadith che regola il comportamento da adottare in casi come questo: «se un’epidemia dovesse apparire sulla terra, non andare in moschea; e se ti trovi in essa, non uscirne scappando». Ma è evidente che la pandemia sta cambiando anche il culto islamico nel mondo: i Sauditi, hanno prima limitato l’accesso alla spianata della Kaaba alla Mecca (l’ombelico del mondo islamico) per poi chiudere del tutto l’Umrah, il pellegrinaggio nei Luoghi Santi nei tempi extra-ramadan (ma è il grande pellegrinaggio del mese del digiuno stesso, ad essere ormai in pericolo): una prima volta nella storia! 

 

La maggior parte dei paesi islamici hanno annullato anche la preghiera collettiva del venerdì; i mussulmani a Singapore, prima del divieto definitivo, erano stati invitati a portarsi un tappeto personale in moschea! Il Diyanet turco, che è Ministero per gli affari religiosi (eliminando così sul nascere ogni possibile divergenza con le disposizioni statali), ha pubblicato un vademecum in 14 punti che, nel rispetto delle disposizioni generali in materia di lotta al COVID-19, incoraggia la preghiera nelle case per alimentare la speranza nel futuro. Mustafa Akyol, noto giornalista e scrittore esperto di universo religioso, alcuni giorni fa twittava: «Nel mondo islamico, esistono risposte razionali e irrazionali al coronavirus. Gli irrazionali tendono a dar la colpa ai "peccati" e cercano le cure più nella preghiera che nella precauzione». L’intellettuale egiziano Mustafa Mahmud è stato più esplicito: «Se un credente e un ateo si gettano in mare, si salverà solo chi sa nuotare. Allah non favorisce gli ignoranti. Pertanto, i musulmani ignoranti annegheranno mentre gli infedeli che sanno nuotare si salveranno». 

 

Vedi il focus Riflessioni in tempo di Covid 19

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