Famiglia di Dio

Sono ormai tre mesi che il Covid-19 ha costretto alla chiusura anche le parrocchie e le comunità, con ogni forma di vita e attività comunitaria. Anche la Pasqua l’abbiamo vissuta senza comunità, collegati con la tv o con il web. Molti che frequentavano le nostre chiese, soprattutto anziani, sono morti da soli e tanti hanno vissuto la morte di una persona cara senza il sostegno umano e spirituale della comunità. Ferite che si rimargineranno con fatica e che ci interpelleranno a lungo. E poi i bambini, i ragazzi, i giovani che avevano le nostre comunità come riferimento. Non sempre le famiglie hanno potuto supplire, non sempre hanno avuto i mezzi per farlo e ora ci chiediamo come tornare a far respirare loro l’aria della comunità, necessaria alla loro formazione.

Da pochi giorni ci è stato concesso di riaprire ma ci siamo accorti subito che molte cose sono cambiate e non solo per l’uso di termometri, mascherine e disinfettanti, ma soprattutto per il limite numerico imposto dal distanziamento. Le celebrazioni eucaristiche sono a numero chiuso, con la pena di lasciar fuori qualcuno e di non riuscire più a raggiungerlo. Stiamo programmando la riapertura dei nostri servizi per i bambini e i ragazzi del quartiere e per i giovani in genere e ci rendiamo conto della complessità e dei limiti numerici e organizzativi. Tutto ci fa pensare che finché il virus sarà in mezzo a noi non potremo tornare completamente alle nostre abitudini comunitarie e alla quantità di gente e di servizi che offrivamo prima. In ogni servizio siamo costretti ad organizzarci in piccoli gruppi, a creare turnazioni, a calcolare gli spazi. Quale segno leggere in questa situazione? La comunità non può ripartire dalla quantità e dai servizi così com’erano. Ma riparte dalle singole persone, da uno più uno più uno, dalla relazione a tu per tu, dalla prossimità, dalla dimensione di “famiglia”. Torniamo ad incontrarci ma a piccoli gruppi cercando di non dimenticare il popolo che ci è affidato, cercando di raggiungere in modi diversi i più lontani ed essere per tutti «una fontana d’acqua fresca all’angolo della strada dove ogni viandante, povero e ricco, forestiero e nativo, giovane e vecchio, possa dissetarsi, trovare riparo, ristori, conforto, senso della vita» (dalla Regola).

Per essere così occorre creatività, apertura di cuore, fedeltà, amore alle persone, occorrono doni che non sono solo nostre attitudini umane. Sono doni che lo Spirito Santo suscita se trova persone disponibili in determinati momenti di necessità.

Ma il segno di questo tempo è capire che non bastiamo a noi stessi. Non è questione di poco o di tanto che sia- mo chiamati a fare, di piccoli o grandi numeri, è questione di comprendere che nell’opera di Dio non possiamo puntare in prima battuta sulle nostre forze, capacità organizzative, mezzi umani per fare ciò che siamo capaci o per ripristinare ciò che facevamo prima. Operare per il Padre, come Gesù e con lui, significa affidarci allo Spirito Santo e chiedere che operi con i suoi doni attraverso di noi perché il bene che possiamo fare raggiunga chi ha bisogno di noi, di lui. Per me questa è l’occasione perché ognuno riparta dall’essere di Cristo, restare attaccati a lui, testimoniarlo con la carità, con la credibilità del bene vissuto.

Anche la comunità “famiglia dei figli di Dio” riparte da questa profonda appartenenza, tenuta viva nei mesi di isolamento. La comunità riparte più consapevole che anche oggi siamo immersi nell’opera del Padre che da Gesù prosegue attraverso di noi, siamo guidati dallo Spirito Santo in questo tempo e con la gente di questo tempo. Sembra scontato, ma quante volte nel nostro fare perdiamo di vista il “per chi e perché” lo facciamo. Ora che sperimentiamo i nostri limiti umani e il limite del nostro agire, possiamo recuperare l’umiltà di chi sa di non potere nulla senza Dio, ma di potere tutto con lui.


Rosanna Tabasso
NP giugno - luglio 2020