Euroauguri

Pubblicato il 22-05-2019

di Lucia Sali

di Lucia Sali - La moneta unica compie 20 anni. Una scommessa storica.
Una scommessa a cui molti non credevano e a cui tanti hanno messo i bastoni tra le ruote per farla fallire. Eppure l’eu- ro, contro ogni aspettativa di euroscettici e speculatori, non solo ha resistito ma il primo gennaio ha compiuto vent’anni. Spesso denigrata e accusata di tutti i problemi sino a finire nell’occhio del ciclone della crisi finanziaria, la moneta unica europea si è rafforzata ed è diventata il simbolo più tangibile della forza e dell’unità dell’Ue, i cui più accaniti sostenitori sono proprio i cittadini europei, ben 2 su 3. E a rendersi sempre più conto in Europa dei benefici portati nella vita di tutti giorni dall’euro sono proprio gli italiani (57%), il cui sostegno nell’ultimo anno ha visto una vera e propria fiammata, +12% secondo il sondaggio Eurobarometro di novembre.

La strada resta però irta di difficoltà, soprattutto alla luce di un’osteggiata riforma dell’eurozona che punta a ridurre i divari tra le economie dei 19 Stati membri, e che non avrà vita facile con le nuove elezioni europee dove le forze anti-Ue potrebbero raggiungere tra un quarto e un terzo dei seggi.
Era il 1988 quando l’allora presidente dell’esecutivo comunitario, il francese visionario Jacques Delors, mise in piedi un comitato ad hoc per la creazione dell’euro. I suoi lavori sfociarono, dopo intensi e difficili negoziati, nella firma del Trattato di Maastricht nel 1992, che gettò le fondamenta della moneta unica europea. Tra i padri “levatori”, l’allora giovane ministro delle finanze del Lussemburgo Jean-Claude Juncker. «Vent’anni dopo, sono convinto che quella fu la firma più importante che io abbia mai fatto», sottolinea l’odierno presidente della Commissione Ue, unico uomo politico ancora in attività che visse da protagonista quei momenti. E che giocò un ruolo chiave per Roma. «Feci di tutto, nonostante le forti resistenze in alcuni Stati membri, per avere l’Italia come membro dell’euro sin dall’inizio», ha ricordato alcuni mesi fa quando lo scontro con il governo italiano era al culmine, «ho sempre detto che non volevo saperne dell’euro se l’Italia non fosse stata ai blocchi di partenza».

Nel 1998 divenne operativa la Banca centrale europea, e il primo gennaio 1999, dopo avere fissato i cambi con 1.936,27 lire per 1 euro, venne ufficialmente lanciato l’euro come moneta ufficiale di 11 Paesi (Germania, Francia, Belgio, Lussemburgo, Olanda, Italia, Spagna, Portogallo, Irlanda, Finlandia e Austria), a cui nel 2001 si unì la Grecia. Il primo gennaio 2002 vennero messe in circolazione le banconote e monete in euro che oggi abbiamo nel portafoglio, e ritirate le valute nazionali. Da allora si sono aggiunti Slovenia (2007), Cipro e Malta (2008), Slovacchia (2009) e poi, nonostante la crisi greca e del debito sovrano, Estonia (2011), Lettonia (2014) e Lituania (2015).

Ad appena 20 anni dalla sua comparsa e a soli 17 dalla sua entrata in circolazione fisica, l’euro è oggi la moneta di 19 Paesi Ue usata quotidianamente da 340 milioni di europei. Altri 60 Stati nel mondo vi hanno agganciato la loro valuta nazionale, ed è la seconda più utilizzata al mondo dopo il dollaro. Un risultato unico nella storia, a cui pochi credevano e che molti – soprattutto ora in tempi di protezionismo come quello perseguito dagli Usa di Donald Trump – non amano perché dimostra come l’euro sia «diventato il simbolo di unità, sovranità e stabilità» dell’Europa, ha sottolineato Juncker. Al punto che oggi, ha evidenziato il presidente della Bce Mario Draghi, (foto) «c’è una generazione che non conosce altra moneta» all’infuori dell’euro, e che va di pari passo con la “generazione Erasmus”, l’altro grande simbolo della “famiglia europea”.

Tuttavia, se l’Ue non vuole mettere in pericolo la sua più grande conquista deve migliorarne il funzionamento e far convergere sempre di più le economie dell’eurozona, colmando il divario tra i Paesi. «Il futuro è ancora in corso di scrittura, abbiamo una responsabilità storica» da non deludere, avverte il presidente dell’Eurogruppo, il portoghese Mario Centeno. A partire dalla riforma “a metà” dell’eurozona, molto meno ambiziosa di quanto proposto dal Presidente francese Emmanuel Macron: «Il lavoro», ammonisce Centeno, «non è ancora fi nito».

Lucia Sali
EUROLANDIA
Rubrica di NUOVO PROGETTO

 

 

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