Emozioni

Pubblicato il 15-04-2018

di Mauro Tabasso

di Mauro Tabasso - Ieri ho passato la giornata fuori città e mi sono fermato a prendere un caffè in un bar, uno a caso. Alzando la testa, mentre lo bevevo, sul muro alle spalle della barista, ho letto una scritta: creiamo emozioni e le racchiudiamo in una tazzina. Urka... Potevi dirmelo subito. Se avessi letto prima di ordinare, invece di un caffè normale ne avrei chiesto uno corretto, che ne so... Gioia, oppure Felicità, oppure corretto Allegria. Comunque corretto con qualche bella e gagliarda emozione insieme alla caffeina. Eh sì, se ne fa un gran parlare di queste emozioni, adesso ce le fanno anche bere e mangiare, e uno si chiede come, ma soprattutto... perché. Beh, il come è più facile intuirlo, ci si arriva. Il perché invece è leggermente più nascosto. Ma tanto per cominciare, le emozioni sono il nostro pane quotidiano.

Ne passano di più per la testa che acqua e cibo attraverso la bocca. Sono parte integrante di ciò che siamo, fanno parte della nostra evoluzione da sempre, sin dai tempi del fuoco e delle caverne. Pensateci, non ci saremmo forse già estinti se i nostri antenati non avessero temuto l’orso grande e cattivo che veniva a fare cucù nei loro antri bui rivendicando (oltre alla cena) il diritto ad abitarli, quegli antri? La paura mette le ali ai piedi e a volte salva la vita e la specie. E così la rabbia, che ha aiutato sempre i nostri antichi progenitori a difendere i loro averi, il loro cibo, i loro territori, la loro prole. Oppure il dolore. Quando da piccolo metti le dita su una candela accesa, è sicuro che la volta dopo te lo ricordi da solo che il fuoco brucia. Le emozioni ci educano, ci istruiscono.

È per questo che ho sempre sognato una scuola emozionante. Sarebbe tutto molto più semplice e più divertente da imparare. Ma le emozioni ci programmano e ci dominano, a nostra insaputa. Prendete la pubblicità, per esempio. Ma secondo voi, a queste aziende che vi forniscono l’energia per realizzare i vostri sogni e trasformarli in futuro, perché se puoi pensarlo puoi farlo, e la loro energia pensa, è intelligente, uh come è intelligente... E sogna anche, proprio come noi poveri tapini. Ma da 1 a 10 quanto gli frega dei vostri sogni? E che dire di quelli che confezionano il fragrante biscotto fatto con le uova fresche della gallina che, alla faccia dell’Asl, è lì che fa l’ovetto proprio sul tavolo da lavoro, coccodando amabilmente (la gallina non chiacchiera un gran che...) con il mugnaio/pasticcere? Meno male che ora l’hanno rimossa. Era solo questione di tempo prima che qualcuno gli mandasse un controllo.

E che dire ancora di quelli che ti fanno guidare l’auto che ti fa sentire come un supereroe sulla Batmobile? Già perché come dice una canzone, «nessuno vuole essere Robin», vogliamo tutti essere Batman... E quelli che ti vendono il profumo che fa sentire sicuri di sé come una top model sciantosa sulla passerella? L’unica cosa che frega a queste aziende, è che noi ricordiamo il loro brand, il loro marchio.

È infatti stra-provato che acquistiamo per lo più ciò che ricordiamo. Così il ricordo viene legato a qualcosa di bello, emozionante, positivo, ad una storia con un lieto fine, ad un contesto davvero emozionante nel quale magari ci possiamo anche riconoscere.
Una situazione che ci istruisce. Ma non è solo la pubblicità a guidarci in questo modo. In generale sono tutti i media, compreso il cinema e, udite udite, anche la musica. La logica è la stessa della tazzina di caffè, creare emozioni e racchiuderle dentro qualcosa.

Forse ve ne parlo la prossima volta, almeno ci provo. E siccome adesso è ora di pranzo, la gallina del mugnaio è disoccupata, ora prendo una delle sue uova e mi ci faccio una bella frittata. Perché come disse un comico parafrasando la nota pubblicità di un rasoio destinato solo a uomini veri: «Omelette, il meglio di un uovo».
E sempre a proposito di emozioni, giusto per la cronaca, il caffè di ieri era da paura.

Mauro Tabasso
DIAPASON
Rubrica di NUOVO PROGETTO
Marzo 2018

 

 

 

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