Emmaus
Pubblicato il 04-12-2024
C’è un’immagine evangelica universale che attraversa il tempo, che restituisce la dimensione concretissima della fede, ma anche della vita. Gesù è stato appena condannato e ucciso. Gli apostoli e i discepoli che lo avevano seguito si disperdono, almeno momentaneamente, disorientati dal dolore e dalla paura. Ce ne sono due in particolare che raccolgono quel che resta dei loro sogni e decidono di tornare a casa. La storia biblica li ricorda come i discepoli di Emmaus. Erano saliti a Gerusalemme con Gesù, anche loro avevano investito tutto sulle sue parole, forse avevano lasciato case, famiglia. Per cosa? Per vedere un ideale inchiodato sulla croce.
Stanno camminano, discutono tra loro. Un uomo si avvicina. Non riconoscono Gesù. «Che sono questi discorsi che state facendo fra voi durante il cammino?». «Tu solo sei così forestiero in Gerusalemme da non sapere ciò che vi è accaduto in questi giorni? Tutto ciò che riguarda Gesù Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo, come i sommi sacerdoti e i nostri capi lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e poi l’hanno crocifisso. Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele». E invece…
«Noi speravamo» è un’espressione chiave, così concreta e vicina all’esperienza i ogni uomo e donna. Soprattutto oggi. Si parla di speranza, ma intrisa di disincanto, dell’abisso del mai più. Una speranza coniugata al passato che paralizza, alla lunga incattivisce, chiude il cuore, gli occhi, fa avvitare. Chi è che non la sperimenta prima o poi nella vita?
Un grande amore, l’uomo o la donna con cui hai costruito tutto, magari hai formato una famiglia. Ti svegli un giorno e qualcosa è cambiato, andare avanti sembra non avere senso. Così il lavoro per cui hai investito risorse e talenti, ti sei speso, hai faticato. E arriva il momento in cui ti dici: «Tutto qui?». Una malattia improvvisa che lacera le membra, un dolore che ti attraversa, un imprevisto che non avevi messo in conto. Per cosa? Perché proprio a me? L’impegno di una vita per la pace, per il disarmo, per la giustizia. Tutto inutile di fronte a un mondo impazzito che di punto in bianco ha deciso di cambiare strada.
«Noi speravamo» è quanto i più umano possa esserci in alcuni passaggi del cammino personale e collettivo. Ipocrita chi lo nega. Ma non è questo il punto, perché la storia ha un altro finale. I discepoli si aprono, si sfogano, non hanno alcuna paura a mettere il loro cuore nelle mani di quell’uomo così attento e capace di ascolto. Addirittura, lo invitano a cenare con loro. Lui accetta, prende il pane, lo benedice, lo spezza e lo condivide. E in quel preciso momento finalmente lo riconoscono.
È proprio questo svelamento che riattiva la speranza, il coraggio di tornare sui propri passi, di riprendere il filo delle proprie motivazioni, di rinvigorire la propria testimonianza. È possibile! Anche in questo tempo complicato, quando non si capisce tutto, quando l’odio sembra avere l’ultima parola e andare controcorrente un esercizio inutile. Non lo è!
Nella storia dei discepoli di Emmaus c’è ognuno di noi. Quando lo sperimentiamo, ricordiamoci il finale…
Matteo Spicuglia
NP ottobre 2024