Elikya, il coro della speranza

Pubblicato il 14-12-2021

di Chiara Vitali

Sei a teatro, ti siedi, c'è silenzio e attendi. Finalmente si alza il sipario. Sul palco appaiono cinquanta musicisti e cantanti di sedici nazionalità diverse: un tripudio di colori e allegria. «Siamo un gruppo di persone appassionate dello stare insieme» spiega il maestro Raymond Bahati, originario della Repubblica Democratica del Congo, fondatore nel 2012 del coro Elikya di Milano. Che è luogo di ideazione musicale e di contaminazione di culture e lingue diverse. Musica, sì, ma anche un laboratorio sociale fatto di accoglienza e integrazione. «La cosa molto bella di Elikya è che si cerca di tirare fuori il bello che ciascuno può offrire» spiega Paola Gestori, vicepresidente dell'Associazione che dà vita al coro.

Ciascuno porta con sé il proprio bagaglio sonoro, linguistico, e fa proposte. «Se si decide di eseguire un pezzo in senegalese, ad esempio, tutti impariamo parole nuove. Diventano parte anche della nostra cultura. È un arricchimento». L'attività musicale si unisce ad azioni concrete di solidarietà: una parte del ricavato dei concerti viene destinato ad iniziative di sviluppo e attenzione alle fragilità. Tra i progetti futuri c'è anche la costruzione di una scuola nella Repubblica Democratica del Congo, che abbia al centro l'educazione artistica: «Vorremmo dare ai giovani in situazioni critiche la possibilità di accedere ad una scuola musicale di un certo livello ». Elikya in lingala (la lingua bantù del Congo) significa Speranza. Per il coro, è anche l'indicazione di una direzione. Ad esempio, negli ultimi giorni di agosto, Elikya è in viaggio nelle terre del centro Italia che cinque anni fa furono devastate dal terremoto. Di giorno si percorre il Cammino delle terre mutate, di sera ci si esibisce. L'obiettivo è chiaro: «Far sentire vicinanza e speranza alle persone di questi territori, dove ci sono ancora tante ferite non rimarginate».


Chiara Vitali
NP agosto / settembre 2021

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