Ecco tuo figlio

Pubblicato il 06-02-2014

di Luciano Monari

Artisti del Centro Aletti, Maria ai piedi della Crocedi Luciano Monari*Alla figura di Maria è attribuito un posto importante nel racconto della passione secondo san Giovanni: la troviamo, infatti, ai piedi della croce insieme al discepolo che Gesù amava e ad alcune altre donne.

In quel momento supremo, quando Gesù sta facendo dono della sua esistenza, egli si rivolge prima alla madre poi al discepolo. Alla madre Gesù dice, riferendosi al discepolo: “Ecco tuo figlio”. E al discepolo, con parole simili: “Ecco tua madre”.
Il senso pieno di questa scena è difficilmente sondabile, ma alcune cose sono chiare. È chiaro anzitutto che non si tratta di un semplice gesto di attenzione filiale: nel vangelo di Giovanni Gesù è prima di tutto il rivelatore del Padre e tutto quanto egli dice e compie ha questa dimensione di rivelazione. Chi parla dalla croce non è un uomo privato, ma un profeta, un maestro; anzi è il Figlio di Dio nel quale Dio stesso si fa vicino agli uomini e mostra e dona loro il suo amore. È quindi ancora un gesto di amore che Gesù compie, un gesto che compie la volontà di Dio, il suo disegno sugli uomini.

Come Gesù è il Rivelatore, così anche Maria e il discepolo non sono figure private: in essi si compie il disegno di redenzione di Dio. L’amore che Gesù dona sulla croce con il sacrificio della sua vita assume una valenza materna attraverso la figura di Maria e assume una valenza filiale attraverso la figura del discepolo. Maria è la madre di Gesù; a Gesù è consacrata con tutta se stessa. Ora Maria, madre, sta per perdere il suo unico figlio; il suo è un lutto che non conosce consolazione mondana. Ma anche per lei vale la legge del chicco di grano che, caduto in terra, se muore, produce molto frutto. La perdita del suo unico Figlio rende Maria madre di una moltitudine di figli: di tutti coloro che, attraverso la fede in Gesù, ricevono il potere di diventare figli di Dio (Gv 1,12). Reciprocamente il discepolo di Gesù sta per perdere il suo maestro, colui che è stato il punto di riferimento di tutta la sua esistenza. Anche per lui vale la medesima legge: dicendo di sì alla morte del suo Signore e quindi alla sua perdita, il discepolo compie il passo decisivo verso la sua maturità spirituale, verso l’identità filiale. E questo passo lo compie facendo entrare nella sua vita la figura materna di Maria. Vivendo come figlio di lei, riceve la grazia di diventare quello che è il Figlio di Maria: Figlio di Dio.

In questo modo si può dire che Maria presenta nella sua persona il mistero della Chiesa che, per dono di Cristo, diventa madre di una moltitudine di figli; reciprocamente il discepolo che Gesù amava rappresenta tutti i discepoli che, accettando la maternità della Chiesa, crescono come figli di Dio nella comunione con Cristo.
È così importante questo episodio che subito dopo l’evangelista può scrivere: “Dopo questo, Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto…”. Dilatando la maternità di sua madre per farla essere maternità universale e arricchendo l’esperienza del discepolo per farla diventare un’esperienza filiale, Gesù ha portato a compimento la sua opera. Era Figlio e si è fatto uomo perché gli uomini possano diventare figli. Ora questo compito è realizzato. Gesù può emettere un grido quasi di vittoria: “Tutto è compiuto”. Poi “chinato il capo, consegnò lo Spirito”. È lo Spirito di figlio che Gesù possiede ed è in grado di donare; è lo spirito di figlio che i discepoli imparano a vivere nella condivisione di vita della Chiesa. Quando il Concilio presenterà il mistero di Maria come immagine e modello della Chiesa, non farà che iscriversi nel messaggio del vangelo di Giovanni.

* Vescovo di Brescia

Abbi fede – Rubrica di Nuovo Progetto (agosto/settembre 2013)

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