È bellissimo giocare, ma…

Pubblicato il 24-06-2013

di Claudia

La riflessione di una mamma che apre una finestra preoccupante sullo sport agonistico praticato dagli adolescenti e lancia domande da non lasciar cadere nel vuoto.

Mi é venuto il desiderio di scrivervi queste due righe che descrivono la vita quotidiana nostra e di tante altre famiglie e sulla quale ho molte perplessità! Parlo di pallavolo, ma penso che per il calcio non sia molto diverso. Mi sembra che una cosa molto bella come lo sport sia diventato un idolo a cui tanti ragazzi sono chiamati a sacrificare la maggior parte del proprio tempo, delle proprie fatiche, dei propri progetti e delle proprie aspettative.

Gli allenatori pretendono obbedienza assoluta, disponibilità totale, allenamenti serrati. I genitori sono felici di ridursi al ruolo di taxisti e di tifosi sfegatati. Gli allenatori dettano legge, anche sull'organizzazione della vita privata. Tutto il tempo é risucchiato e non rimane più nessuno spazio libero da partite o allenamenti: le sere fino a tardi anche per gli studenti delle superiori, compresi i sabato sera, poi la domenica mattina, la domenica pomeriggio, i ponti, le vacanze, il Natale, la Pasqua...

Anche le lezioni di scuola si devono saltare se bisogna partecipare al torneo. E i tornei e i campionati si moltiplicano a dismisura, non solo con squadre di provincia ma anche di altre regioni, per cui per giocare con un pallone, che sia a calcio o a pallavolo, diventa assolutamente necessario fare tanti chilometri ogni settimana, pur avendo una palestra dietro casa. É bellissimo giocare, ma é davvero corretto il modo con cui lo sport viene interpretato e propinato ai nostri figli, dalla prima media in su? Nessuno osa opporsi al sistema, eppure ne é chiara l'ipocrisia: ciò che interessa non é la persona, ma il suo ruolo in campo.

Quanta esaltazione per squadre dilettantistiche di ragazzi che giocano a livello provinciale! E quanti disagi psicologici questa esaltazione crea! Il concetto che un adolescente ha di sé finisce per dipendere da quanto tempo l'allenatore lo "mette in campo". Stare seduto su quella panchina può diventare molto doloroso. Tutto ciò che prima era sacro e intoccabile (la famiglia con i suoi ritmi e i suoi pasti insieme, la messa la domenica mattina, le attività con il gruppo parrocchiale, le vacanze e i ponti, la scuola, le feste e le uscite con gli amici...), non lo é più, perché la pallavolo é diventata sacra e intoccabile, la "cosa più importante", come predicano allenatori e dirigenti di società sportive. Il resto si fa dopo, se ci si riesce, se c'é ancora tempo.

E se non ce la fai o non ci stai la minaccia é: fuori, non giochi. E questo non sia mai! Ma tutti questi ragazzi non sono campioni, non diventeranno professionisti dello sport, per i quali tutto ciò può essere giustificato. Lo sport dà una tale soddisfazione e piacere ai ragazzi che tutto il resto non importa. Ma va bene lo stesso ignorarlo? Come é possibile far tornare la pallavolo a quello che deve essere e cioè un bel gioco di squadra? Cosa può fare un genitore che ha dei figli a cui giustamente piace moltissimo giocare e che quindi per farlo devono integrarsi in questo meccanismo?

Claudia

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