Dalla parte dell’umanità

Pubblicato il 29-05-2023

di Edoardo Greppi

La nascita del diritto internazionale umanitario come risposta alle atrocità e ai crimini di guerra

Nella comunità internazionale si constata un’attenzione crescente – e meritoria! – per la protezione dei diritti umani. Essa trova origine negli strumenti normativi adottati dopo la tragedia della Seconda guerra mondiale.

Vi è tuttavia un altro ambito del diritto internazionale che prende in considerazione la protezione della persona umana, ma in una prospettiva diversa. Si tratta del diritto internazionale umanitario, il diritto dei conflitti armati. Lo “jus in bello”, il diritto “nella guerra” è molto antico e ha prodotto numerose norme finalizzate a rafforzare la consapevolezza che la guerra è violenza, ma questa non può essere senza limiti.

Il diritto internazionale “bellico”, “di guerra”, oggi “dei conflitti armati” si è sviluppato in due direzioni. In primo luogo, gli Stati hanno adottato convenzioni multilaterali per regolamentare l’esercizio della violenza bellica, per porre limiti alla condotta delle ostilità, per vietare determinati mezzi e metodi di guerra, per bandire alcuni tipi di armi. In secondo luogo, hanno adottato altre convenzioni volte alla protezione delle vittime della guerra, feriti, malati, naufraghi, prigionieri di guerra e civili.

Già in epoca remota si erano sviluppate norme consuetudinarie per porre temperamenta belli (così scriveva Ugo Grozio nel 1625), per attenuare la brutalità del la guerra, ma è soprattutto a partire dalla seconda metà dell’Ottocento che la comunità internazionale ha intrapreso un significativo percorso di elaborazione di norme precise, codificate in appositi trattati. Il primo accordo per limitare la violenza bellica è la dichiarazione di San Pietroburgo del 1868, che vieta i proiettili esplosivi di peso inferiore a 400 grammi perché sono armi che causano «sofferenze non necessarie», e sono quindi «contrarie alle leggi dell’umanità». Si afferma che il solo scopo legittimo della guerra è «indebolire le forze militari del nemico» e per fare questo «è sufficiente mettere fuori combattimento il maggior numero possibile» di soldati, e che si va al di là dello scopo se si usano armi che «aggravano inutilmente le sofferenze degli uomini messi fuori combattimento o ne rendono inevitabile la morte». Il primo accordo per la protezione delle vittime è la convenzione di Ginevra del 22 agosto 1864 «per il miglioramento della sorte dei militari feriti» nella guerra terrestre, stipulata in esito a una conferenza diplomatica che aveva visto protagonista lo svizzero Henry Dunant, fondatore del Comitato internazionale della Croce Rossa, che era rimasto colpito dalla tragedia del campo di battaglia di Solferino (1859).

Da queste prime iniziative degli anni ’60 dell’Ottocento è partito il cammino che ha condotto alla stipulazione delle convenzioni dell’Aja del 1899 e del 1907 e di quelle di Ginevra del 1906, del 1929 e, soprattutto, del 12 agosto 1949 (relative ai feriti, malati e naufraghi, ai prigionieri di guerra e alla popolazione civile), completate dai protocolli aggiuntivi del 1977 sulla protezione delle vittime dei conflitti armati internazionali e non-internazionali. A queste si sono aggiunte numerose convenzioni che vietano determinate armi (da quelle chimiche e batteriologiche alle mine anti-persona e alle munizioni a grappolo) o che introducono divieti precisi, come gli accordi per la protezione dei beni culturali nei conflitti armati.

Il cospicuo corpus normativo delle ormai numerose convenzioni di diritto internazionale dei conflitti armati – che ormai chiamiamo “diritto internazionale umanitario” – ha portato al consolidamento di alcuni principi fondamentali. Il più importante (che il primo protocollo di Ginevra del 1977 qualifica come “regola fondamentale”) è l’obbligo di «fare distinzione, in ogni momento» tra la popolazione civile e i combattenti, e tra i beni di carattere civile e gli obiettivi militari, e «di conseguenza, dirigere le operazioni solo contro obiettivi militari».

Vi sono poi il principio di limitazione, che vieta in linea generale armi o mezzi che causino «mali superflui o sofferenze non necessarie»; il principio di precauzione negli attacchi, per minimizzare i danni ai civili e ai loro beni; il principio di proporzionalità.

I conflitti contemporanei evidenziano drammaticamente la necessità di richiamare il puntuale rispetto di queste norme. Gli Stati, in linea di principio, se ne dichiarano convinti, e le convenzioni di Ginevra del 1949, con il 100% di adesione, sono i trattati multilaterali più ratificati al mondo.

Nei conflitti di questi anni, tuttavia, assistiamo a estese violazioni di questi principi e di queste norme.

Per promuovere la conoscenza delle norme e il loro rispetto sono attive alcune istituzioni internazionali. Anzitutto, a Ginevra ha sede il Comitato internazionale della Croce Rossa che, insieme alla Federazione delle Società Nazionali di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa, diffonde la conoscenza delle convenzioni e opera sui campi di battaglia. A Sanremo c’è l’Istituto Internazionale di Diritto Umanitario, che da mezzo secolo organizza corsi di formazione per migliaia di ufficiali delle forze armate di tutto il mondo.

Le immagini delle violazioni del diritto umanitario che quotidianamente ci vengono dall’Ucraina insanguinata richiamano la necessità di richiamare gli obblighi di rispetto delle convenzioni di Ginevra, in particolare la IV, relativa alla protezione dei civili.

Resta sempre vivo il monito del la dichiarazione di San Pietroburgo, per la quale «i progressi della civiltà devono produrre l’effetto di attenuare, per quanto possibile, le calamità della guerra».

Edoardo Greppi

NP Marzo 2023

Comitato internazionale della Croce Rossa

 

 

Federazione delle Società Nazionali di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa

 

 

 

Istituto Internazionale di Diritto Umanitario

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