Cronache dal confine

Pubblicato il 12-08-2022

di Marco Maccarelli



Siamo in Ucraina Posti di blocco dappertutto, all’interno delle città, lungo i confini, anche nei paesi più piccoli.
Non potremo dimenticare l’esperienza al confine con la Romania


Centinaia di persone a piedi, tanta gente in macchina.
Persone che avevano una vita normalissima che hanno dovuto abbandonare in fretta e furia.
Alcuni non sono riusciti a prendere nemmeno i documenti.
Mi colpiscono i volti dei soldati.
La maggior parte sono ragazzini.
Arriviamo a Leopoli (L‘viv) dopo 14 ore di viaggio. La guerra è nell’aria.
Ci aspettano in un centro della chiesa riformata che abbiamo deciso di aiutare.
La struttura è aperta 24 ore su 24, ha una mensa interna, distribuisce generi alimentari giorno e notte.
Ci accolgono il pastore Samik e la moglie Tania, ma soprattutto tantissimi giovani commossi.
Ci hanno fatto vedere la casa, una struttura di quattro piani che sta accogliendo rifugiati da tutto il Paese. Letti dappertutto, camere da sei sette persone, soprattutto donne e bambini perché gli uomini qui dai 18 ai 60 anni devono combattere.
Può rimanere solo chi ha tre figli. Incontro una coppia scappata da Kiev. Lei insegnante di educazione fisica, il marito di 24 anni insegnante alla facoltà di ingegneria. Sono scappati con i bambini, senza poter prendere nulla.
Alla domanda su cosa pensano di fare, dicono di non saperlo. L’ultimo piano della casa è pieno di bambini dagli 8 ai 12 anni, alcuni senza genitori, accolti da altre famiglie che adesso se ne prendono cura. Si respira aria di famiglia, nonostante tutto.
Chiedo al pastore di raccontare il senso della sua missione. «Dio è amore – dice – e io non posso fare a meno di amare in questo modo.
Devo farlo, voglio farlo e ci devo essere». Quando parla si commuove. «La situazione è estenuante per il nostro popolo», dice.
Ci siamo fermati a cena, poi casualmente c’era un pianoforte. Mi sono messo a suonare e cantare. C’era anche una ragazzina down, all’inizio molto sospettosa, ma poi piena di gioia. La notte abbiamo dormito tutti insieme in una stanza ricoperta di materassi per poi ripartire all’alba.
Ho capito che anche un aiuto alimentare può scaldare veramente dei cuori, perché attraverso un pacco di cibo o di farmaci arrivano delle speranze, l’idea che da qualche parte c'è qualcuno che ti ha pensato.
Questo è quello che abbiamo letto negli occhi della gente di Leopoli (L‘viv) e anche noi vogliamo custodire i loro occhi nei nostri cuori.

Al confine
Una cosa che mi ha colpito molto è che sul ponte di legno che collega Ucraina e Romania sono stati lasciati tanti giocattoli, pupazzi e peluche Dà l’idea della fuga, del dramma di bambini scappati dalle loro camerette all’improvviso che non riescono a portarsi dietro tutto.
Mi hanno detto che tanti giochi sono stati lasciati anche dall’esercito come un segno di accoglienza per i più piccoli.
Quando siamo passati sul ponte ho deciso di scendere. Non si poteva e l’esercito mi ha fermato.
Ho spiegato chi eravamo e che è importante raccontare perché nessun bambino dovrebbe vivere una cosa così. Mi hanno detto: «Vai, filma quello che vuoi».

 

Ivano-Frankivs'k
Appena siamo scesi è scattato l’allarme antiaereo.
Abbiamo lasciato tutto e ci hanno portati in un bunker insieme a circa 500 persone scappate dagli uffici, dalle case

Eravamo arrivati in città per portare altri aiuti.
Avevamo l’indirizzo, praticamente in centro, davanti al municipio. Ci ha accolti l’esercito per darci una mano a scaricare, ma appena siamo scesi è scattato l’allarme antiaereo Ci hanno portati in un bunker insieme a circa 500 persone che erano in strada o profughi di altre città.
Le luci erano molto fioche, ci siamo seduti sulle panche e abbiamo iniziato ad aspettare.
In un bunker non c'è nulla.
Solo delle panche e qualche scorta alimentare.
Non hai uno schermo per vedere fuori cosa sta capitando.
Si sta in silenzio e chi crede prega. Qualcuno si è messo a cantare insieme canti tradizionali popolari, altri scrivono a parenti e amici. Si aspetta con l'orecchio teso. e cerchi di capire cosa colpiranno, e con cosa. Sai solo che dal cielo probabilmente pioverà qualcosa. Ma dove? E se fosse qui? Come usciamo? Che succederà?

Subito ho silenziato la testa. Ogni tanto serve, soprattutto in situazioni cosi. Ho visto un bimbo che era davanti a me e mi sono lanciato in mille sorrisi. Le domande vanno bene solo se ti mettono nella condizione di scegliere, di muoverti.
Se ti bloccano vanno fermate. Quel bimbo invece era lì. Era reale.
Reale come ha voluto essere la mia reazione.
Al di là della paura.
Dopo mezz'ora siamo usciti. L'allarme è cessato. Nei corridoi del bunker delle ragazze cantavano delle canzoni simbolo della bellezza che nonostante la bruttezza della guerra, palpita e (R)esiste!

 

Oleg

A Kaluš, incontriamo Oleg, un giovane.
Gli chiedo come mai non sia ancora partito con l’esercito, perché tutti vengono chiamati per essere arruolati Mi ha detto di essere un riservista e che al momento non è al fronte per il suo impegno all’interno del comune. Mi ha detto però di avere lo zaino e la mimetica pronti.
«Ma tu sei pronto?» gli chiedo. Lui mi guarda: «No, ma non ho scelta.
Se penso a quello che stanno facendo i russi, trovo anche il coraggio per combattere. Anche questa è la guerra: una realtà che non immagini, che ti cambia la vita e anche il senso di responsabilità».

OPERAZIONE CICOGNA
Il Sermig e padre Albano Allocco dei padri somaschi presenti a Baia Mare (Romania) hanno dato il via all'operazione cicogna che prevede la distribuzione in territorio ucraino degli aiuti ricevuti.
Il materiale viene recapitato mediante una colonna di furgoni in base alle richieste arrivate dalle realtà locali civili e religiose.
(vedi a pp. 32 e 33 le foto 11-23)

 

Mukačevo

Siamo sulla strada del ritorno da Mukačevo dove abbiamo portato diversi aiuti.
La missione che stiamo sostenendo è delle suore Basileane che vivono qui, a Leopoli (L‘viv) e vicino a Kiev
«Com'è la situazione? », chiedo alla suora responsabile del progetto.

«Direi terribile. Abbiamo i soldati che arrivano da noi feriti e che ci chiedono di pregare per loro perché si sentono morire. Proprio ieri quattro persone sono arrivate ferite da noi e mentre pregavamo con loro sono mancate. La vostra presenza è importantissima.
Siete coraggiosi».

Coraggiosi noi? Io piuttosto penso al coraggio che ha lei. È venuta da Leopoli (L'viv) da sola, la macchina le si è rotta in piena notte e nonostante tutto aveva un sorriso che non dimenticherò mai. «Cercheremo di portare questo anche nella nostra comunità vicino a Kiev dove la situazione è ancora più disastrosa. I camion con gli aiuti sono tutti fuori dalla città e non riescono entrare a causa dell’esercito russo.

Lì la gente sta morendo di fame». Il suo silenzio si unisce al mio. Stacco la camera e ci abbracciamo.
Noi ci siamo. Siamo lì per loro. Dietro di noi c'è un esercito con le braccia lunghe fino a Torino.
Un esercito che non molla.
Neanche a morire.


Veronica e Tania

Sono due donne di 36 anni.
Hanno coraggio.
Da quando è iniziata la guerra fanno la spola tra Ucraina e Romania per portare aiuti dove serve

Veronica e Tania fondamentalmente viaggiano da sole sul loro mezzo. Veronica arriva da Odessa, con la minaccia russa alle porte.
Mi racconta di quanto sta avvenendo a Mariupol, città portuale accerchiata dai russi. Un assedio terribile che costringe i civili alla fame. Veronica mi racconta di un bambino morto di sete. Non ho parole. Tania invece vive a Černivci, poco dopo il confine rumeno. Ha deciso di ospitare 35 profughi tra famiglie, donne e bambini.
Hanno bisogno di tutto, perché la gente ha fame.

«Non avete idea di quello che state facendo per noi», me lo dice con uno sguardo penetrante che non dimenticherò.
Tra i profughi accolti da Tania c’era anche una ragazza di nome Oxana.
Le ho chiesto della sua vita, di quello che aveva vissuto prima di scappare dalla guerra. Si è commossa. È una coreografa e insegnava danza.
Di fatto la sua vita di prima non c'è più ed è costretta a ripartire da zero. Con lei c’erano anche la zia, la mamma, i suoi bambini. Il marito invece è rimasto a combattere. Alla domanda su cosa vedano davanti a loro, la stessa risposta: non lo sanno.

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