Costruire fraternità
Pubblicato il 07-11-2024
Nell'ultimo appuntamento dell'Università del Dialogo, che è coinciso con la Giornata del Perdono 2024, abbiamo incontrato Rosanna Tabasso, nuova responsabile del Sermig. Con lei abbiamo parlato della funzione sociale e civile che la fraternità può svolgere all'interno della realtà odierna.
Per costruire fraternità bisogna farsi interrogare dal mondo, non sottrarsi alle sfide della propria epoca e saper creare ponti di dialogo.
Come si fa?
Fin dagli anni ’70 avevamo chiaro che il nostro impegno politico non poteva essere di appartenenza a un partito, ma di incontro con tutte le parti in vista di un bene comune.
Incontrarci, dialogare, collaborare con tutti su obiettivi concreti che migliorassero la qualità della vita dei più poveri.
La chiamavamo “linea dei trattini” perché conclusa una collaborazione, raggiunto un obiettivo, ognuno si riprendeva la sua libertà, in attesa di altri obiettivi e di altre convergenze.
In questo percorso non abbiamo mai mancato di coinvolgere le istituzioni, interlocutore primario di ogni azione che abbia al centro i più fragili. È l’incontro che migliora la qualità della vita, non lo scontro. Una diversità di posizioni, come ogni diversità, è una ricchezza per tutti se lo spirito è davvero di ricerca di un bene comune. Abbiamo sempre incontrato e dialogato con persone di ogni schieramento, di ogni ideologia, appartenenza politica perché sono persone, sono anime.
Non ci nascondiamo che il dialogo sia complesso da realizzare, ma vale sempre la pena provarci e la chiave è uno sguardo di bontà l’uno verso l’altro, cuori e menti liberi da interessi personali e guidati dalla bontà. È un percorso che non si conclude mai, a ogni tratto di storia va ripreso e va vissuto sempre. Tutto questo si concilia anche con l’impegno di alcuni di noi all’interno di qualche schieramento politico.
Incoraggiamo l’impegno politico dei giovani come servizio alla gente e al bene comune.
Cosa può aiutare ad andare oltre le difficoltà e ciò che sembra impossibile? Soprattutto in un mondo come quello di oggi?
Ogni tempo ha le sue fatiche che vanno riconosciute e affrontate con il medesimo slancio. All’inizio c’erano mattoni da trovare, muri da scrostare, lavori manuali… Ci radunavamo il martedì sera e dopo la preghiera Ernesto chiedeva a tutti un’oretta di lavoro manuale e tutti partecipavano!
Mentre facevamo questo lavoro crescevamo nelle motivazioni, nella convinzione che stavamo facendo qualcosa di buono. Il progetto prendeva forma dentro di noi e ci radicavamo nel bene.
Oggi non è meno difficile. I mattoni sono al loro posto, le mura sono spazi abitati ma i bisogni della gente sono grandi, le fatiche che vediamo in noi e attorno a noi ci spingono ancora ad aprirci, ad andare avanti. Se hai migliaia di bocche da sfamare, persone da curare, se hai gente che cerca risposte al non senso della sua vita, se vivi immerso nella fame, fame di pane, fame di senso, fame di Dio… come puoi chiuderti, tirarti indietro?
Noi sappiamo per chi lo facciamo! E adesso siamo una fraternità, siamo migliaia di volontari che aiutano, non siamo soli e insieme possiamo fare la nostra parte.
Cosa significa accogliere davvero una persona?
Nella regola del Sermig è scritto “Il problema dell’altro che diventa mio”. L’altro è sempre da conoscere, da capire, è da accogliere così com’è. Nell’incontro l’unità di misura non sono io e l’altro che si deve adattare ma al contrario è sempre l’altro. Con questo atteggiamento poi si instaura una reciprocità che è anche educarci ad accoglierci a vicenda.
L’altro è spesso un incontro imprevisto, non programmato, non conosciuto, per il quale non c’era uno spazio già prefissato.
E spesso ti cambia la vita perché suscita una domanda «Cosa posso fare per te?».
Così si allarga la disponibilità di ognuno e si cresce anche come comunità. All’Arsenale abbiamo avuto l’intuizione di non scegliere di aiutare una categoria di persone e solo quelle, ma di restare aperti a chi ci avvicina. Non possiamo aiutare tutti certamente, ma spesso di fronte a una persona, al suo problema capiamo di vivere un appuntamento non solo con quella persona, ma anche con la storia, con Dio.
Nel tempo questo processo ci ha dato una grande ricchezza di esperienze, una visuale aperta a 360°. È una mentalità che ci coinvolge anche al nostro interno, non è solo un approccio con i più poveri, ma anche tra noi. La fraternità è questa attenzione all’altro con cui vivo, sempre diverso da me ma complementare.
Infatti il nostro primo e grande banco di prova per l’accoglienza è proprio la fraternità: è molto più “semplice” accogliere una persona senza tetto che dorme in strada che scegliere di accogliere il fratello, la sorella e scegliere di portare pazienza e di continuare a costruire con lei.
L’arsenale ha saputo accogliere persone vicine e lontane. Una vera e propria finestra sul mondo. Qual è il metodo per vivere la fraternità?
Nel 1964, la prima formazione del Sermig è stata curata dai poveri lontani che ci hanno fatto scuola. Quando abbiamo aperto l’Arsenale abbiamo imparato a riconoscerli qui, vicino a noi. L’Arsenale è rimasta una porta aperta sul mondo, dove abbiamo continuato a dare voce ai poveri del mondo con progetti di sviluppo, spedizioni umanitarie, incontri, viaggi, conoscenza. Poi la porta si è aperta anche per i vicini, con lo stesso spirito, le stesse motivazioni, la stessa determinazione. Gli uni ci hanno aiutato a capire gli altri ed è diventato metodo: accogliere l’altro nella complessità della sua vita, della sua cultura, religione, provenienza senza giudicare, emarginare.
L’imprevisto è la nostra grande palestra, il cortile è la nostra grande scuola, noi tutti siamo cresciuti alla scuola del cortile. Facciamo un programma e poi lo modifichiamo per accogliere chi bussa alla porta, di giorno e di notte.
Per Dio non ci sono vicini e lontani. È un fatto di amore, se alleniamo il nostro cuore ad accogliere l’altro, a sentirlo fratello, a mettere al centro il suo bisogno prima del nostro, ecco che stringiamo legami autentici di fraternità, e la distanza non è più un problema ma un’opportunità. Siamo molto amici di dom Luciano Mendes de Almeida (ndr vescovo gesuita brasiliano di Mariana, 1930-2006) eppure ci separava l’Oceano Atlantico perché lui abitava in Brasile, ma lui si sentiva parte della nostra fraternità, e noi lo sentivamo parte della nostra famiglia. E con quanti altri accade questo!
Il Sermig ha incrociato tante persone, diversissime fra loro. L’amicizia con un non credente come il filosofo Norberto Bobbio, ne è un esempio. Come si vive la fraternità con persone dalle idee molto diverse dalle proprie?
Anzitutto Ernesto ci ha insegnato che si calpestano gli scalini dei saggi fino a consumarli e quando si trova una persona di valore la si frequenta per imparare.
Abbiamo cercato Bobbio per confrontare le nostre idee con le sue. La diversità tra lui e noi era evidente: noi credenti lui no, lui uomo di pensiero, noi gente che imparava facendo…
Abbiamo imparato a dialogare, abbiamo imparato a confrontarci. L’Università del Dialogo che nasce dal dubbio arriva da quel confronto. A molti non piaceva associare il dialogo al dubbio, ma il nostro dubbio non ha mai minato le certezze, anzi ha dato radici alle motivazioni.
Ernesto e Norberto Bobbio hanno costruito un cammino di amicizia perché hanno messo al centro non il loro io ma un ragionamento che si apriva al bene degli altri.
La differenza di fede non è mai stata un problema: era come scalare la stessa montagna da due versanti diversi. Continua a colpirmi sempre quello che ha scritto Bobbio: «Guardare alle cose che uniscono e non a quelle che dividono. Ponti, non muri».
Gli Appuntamenti Mondiali dei Giovani della pace nascono dal desiderio di dare voce ai giovani, chiedendo ai grandi di mettersi in ascolto. Che valore ha la fraternità nel dialogo tra generazioni?
La fraternità deve essere non solo orizzontale ma verticale, non solo tra stesse generazioni, ma tra generazioni diverse, per noi che viviamo la vita comune è così, e ne sperimentiamo tutta la difficoltà ma anche tutta la bellezza. Certo è più difficile fare fraternità con persone di età molto diverse, cambiano i bisogni, cambiano gli orizzonti, mutano le energie. Però è in quel passaggio che si trasmettono le cose importanti della vita: l’esperienza, la fede, l’amore vero, quello che è passato al vaglio della vita che si è fatta dura. La fraternità tra generazioni diverse chiede ai giovani la disponibilità a imparare e chiede agli adulti la pazienza di insegnare. Ho visto diverse generazioni passare in fraternità, diverse persone che si sono fermate qualche giorno, qualche mese, diversi anni, oppure tutta la vita: età e vissuti molto diversi, ogni volta riparto dalla disponibilità che l’ultimo arrivato può insegnarmi qualcosa, e chiedo ai giovani in comunità di mettersi in ascolto, di fare domande, di non vivere l’obbedienza in modo passivo ma in modo creativo. Uno dei nodi è la disponibilità di ascoltare con il cuore, provando a mettersi nei panni: vecchi che ascoltano giovani, giovani che ascoltano vecchi…
Come la spiritualità e la fede possono allargare l’idea di fraternità umana?
Mi ricordo che all’inizio il vero passaggio da essere un’associazione di volontariato a una fraternità nella Chiesa è stato mettere veramente al centro la Parola di Dio.
Ernesto ci lascia una grande eredità, lui la Bibbia la mangia, in continuazione, e noi? Torniamo a mettere veramente al centro delle nostre vite la Parola e lo Spirito ci farà intuire le strade da intraprendere… fidiamoci della sua promessa, l’Arsenale ci conferma che Dio è un Dio fedele!
Ernesto 15 anni fa ha scritto Per una Chiesa scalza, è una buona sintesi della nostra esperienza di fraternità che parla a tutti, credenti e non credenti. È un’esperienza di Chiesa che si è dovuta “scalzare” (lasciare le sue sicurezze) per camminare con gli “scalzati” dalla vita. La fraternità non è utopia ma il sogno di Dio che quando trova un cuore disponibile fa nascere qualcosa di nuovo, è ciò che è successo alla nostra fraternità. Una vita che prende sul serio il Vangelo e prova a incarnarlo diventa una luce, e la luce annulla il buio di tante vite che avvicina, che diventino credenti oppure no, ma di certo inizieranno a cambiare, a convertirsi, potranno arrivare alla fede oppure no, ma nei fatti costruiranno fraternità, nei fatti metteranno al centro il bisogno di tanti poveri, nei fatti restituiranno ciò che sono e ciò che hanno… insomma nei fatti vivranno il Vangelo. Quanti volontari non vicini alla fede abbiamo visto cambiare all’Arsenale, non è detto che siano tutti arrivati alla fede, ma «dal mio punto di vista» mi aiutano a essere cristiana, mi danno un esempio di Vangelo vissuto e incarnato.
A cura della redazione
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NP agosto / settembre 2024