COSTA D’AVORIO: tra abbandono e speranza

Pubblicato il 31-08-2009

di Mauro Palombo


I capi di Stato e di governo dei 15 paesi della Comunità economica dell’Africa occidentale (Cedeao/Ecowas) nel documento finale in chiusura del vertice di Niamey, capitale del Niger, hanno esortato a proseguire la collaborazione “per garantire un effettivo processo di disarmo ed elezioni libere e trasparenti a ottobre 2006” in Costa d’Avorio. Hanno anche accolto con favore la “nomina del nuovo primo ministro Charles Konan Banny e la formazione del governo di unità nazionale” ivoriano, ricordando che il programma del nuovo esecutivo prevede “il disarmo dei ribelli e delle milizie, ripristino dell’amministrazione statale, identificazione e registrazione degli elettori in vista delle future elezioni. Non si è ancora risolta, infatti, la crisi tra il governo e i ribelli che controllano il centro-nord del Paese. (Fonte: misna.org) Il centro principale del nord è la città di Korogò, con i suoi 150 mila abitanti. Padre Luciano Ragazzo, autore di questa testimonianza, è stato parroco della parrocchia di Fatima, una delle sue cinque parrocchie. Ora è vicario generale della diocesi e si occupa anche del coordinamento delle attività pastorali e caritative.
 

di Mauro Palombo e Luciano Ragazzo

 

La situazione della missione
Tutto è iniziato con un gruppo di trenta ragazzi che si sono presentati in parrocchia e mi hanno detto: “Vogliamo diventare cristiani”. Erano pagani animasti, ora sono catechisti bravi e disponibili. Da loro è nata una comunità. Noi missionari siamo ora gli unici bianchi che si vedono nella città di Korogò. Ci sono cinque parrocchie, tre sono tenute da missionari e due parrocchie da sacerdoti del Congo. Il clero locale di Korogò conta forse una decina di sacerdoti in tutta la diocesi. Korogò era una missione essenzialmente cittadina, negli ultimi tempi però abbiamo iniziato ad uscire fuori dalla città per andare nei villaggi. Uno dei problemi che abbiamo è la lingua: in Costa d’Avorio ci sono 40 etnie, ognuna con la propria lingua, anche se nelle città principali si parla il francese.

 

La situazione al nord: conversioni e poligamia, malati mentali
Al nord, che è stato evangelizzato più tardi, i cristiani sono una minoranza, la maggioranza della popolazione è pagana con una forte presenza musulmana. Il sud è a maggioranza cristiana. In Costa d’Avorio sono attive molte sette. Noi ci siamo trovati ad operare in Katumarà, un villaggio completamente pagano, ed è stato un vantaggio perché a volte là dove passano le sette c’è molta confusione, la gente non riesce più ad orientarsi. Il Signore ci ha aperto la porta e così la nostra presenza ha portato molti frutti. Soprattutto nei villaggi c’è il problema della poligamia. Nel villaggio di Katumarà ci sono pagani poligami che vogliono avvicinarsi alla fede cristiana. È la gratuità, anche nei piccoli gesti, che evangelizza, che tocca il cuore.

Colpisce che noi non facciamo le cose per interesse. Una bella iniziativa è stata quella del centro per malati mentali, “Centro Giubileo”: 150 uomini e donne, soprattutto giovani. Il malato mentale, nella cultura locale, è un maledetto. La famiglia cerca di mandarlo via dalle case, di tenersi lontano da lui. Queste persone fanno una vita proprio da randagi. Chi sta meglio aiuta chi sta peggio. Non abbiamo personale specializzato, a parte un medico che viene periodicamente. Ci sono suore che organizzano e aiutano.

La guerra
La guerra è scoppiata il 19 settembre 2002, tre anni fa. Il 29 settembre, domenica, tutti gli stranieri hanno ricevuto l’ordine dalle ambasciate di partire. C’è stata l’evacuazione degli stranieri, e i francesi hanno messo a disposizione degli elicotteri proprio per questa necessità. Abbiamo ricevuto questa informazione sabato sera: “Partite, partite perché c’è pericolo!”. Non abbiamo nemmeno avuto il tempo di riflettere e anche noi abbiamo preparato il nostro bagaglio per partire. In un’ora ho dovuto fare delle scelte: hai un’ora di tempo, puoi prendere un bagaglio da 20 chili, che cosa porteresti via da casa tua? Sarebbe un’esperienza di riflessione da consigliare a tutti.
Noi avevamo preparato tutto e la mattina alle otto avevamo l’appuntamento per la partenza, quindi verso le sei abbiamo celebrato la messa. Subito dopo la messa non avevamo nemmeno un minuto di tempo, ma ci siamo guardati in faccia, ci siamo seduti e praticamente la decisione è stata unanime… restare! Ci siamo accorti, poi, che anche gli altri missionari avevano preso la stessa decisione. Alle otto avevamo la messa con la comunità, perché era domenica. Alle otto meno dieci la chiesa era strapiena. La gente sapeva che i missionari sarebbero dovuti partire, eppure alle otto abbiamo celebrato la messa con la chiesa strapiena e gli elicotteri che ci giravano sopra la testa. Per me è stata una grande commozione, è uno dei momenti più belli che ricordo.
Non mi sono mai pentito di essere rimasto, neanche quando c’è stato l’attacco alla missione, nel febbraio e nel novembre 2004. Abbiamo vissuto molti drammi ma sempre con l’affidamento al Signore, importante, come lo è stato il sentire che la comunità ci ha sempre sostenuti. La gente è sempre venuta a chiedere scusa, anche se i guerriglieri non erano della loro stessa etnia. Era per loro un modo di chiedere perdono. L’unica paura che mi era rimasta era quella di dover andare via sapendo che un sacerdote nuovo avrebbe dovuto sostituirmi, mi veniva da dire “ma ce la farà?”.
Si è creata, poi, una bella comunione, non soltanto con la gente, anche con gli altri missionari. Abbiamo vissuto un primo periodo di forte abbandono e isolamento a motivo dei cittadini che rientravano nelle loro zone di origine e delle famiglie che mandavano i loro figli a studiare altrove, dal momento che la situazione non era tranquilla; così abbiamo avuto un forte calo numerico di giovani. Korogò era una città di giovani, sono partiti l’80% dei giovani e il 50% dei ragazzi della scuola elementare. La città si è svuotata, ci sono posti di blocco dappertutto che limitano la mobilità. E quando noi missionari, per viaggi, andiamo verso il sud, ci dicono “Ah, voi venite da Korogò, che ci state a fare a Korogò? Voi siete i cappellani dei ribelli.” “Korogò? Ma c’è ancora qualcuno li a Korogò, non sono morti tutti?”

Si è creato un forte odio razziale, etnico, tra nord e sud e come Chiesa la cosa su cui abbiamo puntato è stato il “disarmo della penna”. È davvero scandaloso aprire un giornale e trovare solo parole di odio uno contro l’altro. I giornali da noi non arrivano, anzi, è capitato che qualche prete che per caso aveva un giornale nella borsa per poco ci rimetteva la pelle, perché il giornale è del sud e quindi proibito. L’unica rete televisiva nazionale è praticamente in mano ai ribelli, che fanno vedere quello che vogliono, è censurata. Questo è un po’ l’isolamento che stiamo vivendo.

Il dialogo interreligioso
Da noi, a Korogò, non ci sono molti problemi tra religioni. Io ho dipendenti che non sono cristiani. Il cuoco è mussulmano, noi abbiamo grande fiducia in lui, ci troviamo bene e c’è un bel rapporto (cuoce anche le bistecche di maiale, ma non le mangia). Tra i dipendenti ci sono un’infermiere mussulmano, un protestante e anche degli animisti. L’interreligiosità non fa problema neppure per i numerosi allievi mussulmani che frequentano la scuola salesiana, pur sapendo che è una scuola cattolica.
Se c’è un lutto in una famiglia mussulmana, una nostra delegazione cristiana si presenta ufficialmente per sostenerla e anche loro fanno altrettanto quando una nostra famiglia è in difficoltà. C’è stima, c’è un grande rispetto e si cercano anche delle occasioni particolari per incontrarsi. Per quanto riguarda l’evangelizzazione, abbiamo avuto anche delle conversioni che non avremmo immaginato, un gran numero di conversioni adulte, che superano la perdita numerica di giovani. La gente ha apprezzato molto la nostra testimonianza, hanno visto come abbiamo affrontato e superato i problemi e questi sono stati i segni che hanno portato alla conversione. Oggi leggevamo nel libro del profeta Zaccaria: “Noi vogliamo venire con voi, perchè con voi c’è Dio”. L’evangelizzazione comincia così. Sono queste le soddisfazioni che ci hanno permesso di andare avanti.

 

di Mauro Palombo e Luciano Ragazzo
da Nuovo Progetto dicembre 2005

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