Con occhi nuovi

Pubblicato il 26-09-2021

di Michelangelo Dotta

Superati oramai 12 mesi di emergenza nazionale dichiarata con annesse direttive, leggi, ordinanze, DPCM, mappe a colori, e quant'altro, una certezza si è resa palese a tutti, cioè che il concetto di disciplina ci è ormai totalmente estraneo; non esistono di fatto più istituzioni in grado di imporla, non la si insegna in famiglia, non la si pretende a scuola, tutto in nome di una presunta libertà che nel concreto lascia tutti impuniti e profondamente convinti di essere autorizzati a tenere qualsiasi tipo di comportamento. In TV, a fianco dei proclami ufficiali, dei dati medico-scientifici e delle statistiche, è tutto un profluvio di immagini che immortalano e stigmatizzano atteggiamenti e situazioni che ignorano ogni norma e disposizione e, anche se nelle intenzioni il tutto dovrebbe avere il sapore della denuncia giornalistica del malcostume dilagante, di fatto ripropone una realtà che viene replicata da altri in totale tranquillità, spesso con il sorriso di sfida sulle labbra rivolte alle telecamere appostate.

Tutto pare lecito nel nome della propria soddisfazione, premiare il proprio io è diventato un imperativo categorico. Poco tempo fa un amico mi ha inviato sul cellulare un'immagine degna di più di una riflessione: su di un muro, scritta con una bomboletta rossa, una frase «faccio quello che voglio!»… stampatello deciso, tratto sicuro, leggibilità immediata… sintetizzava in una semplice affermazione, un programma di vita molto condiviso e applicato in questi tempi selvaggi ma, poco sotto, un po' a lato e quasi di sghimbescio, a sfregio o a sfida, un'altra frase, in corsivo veloce, ma altrettanto perentorio «anche io quando ti incontro»… È in qualche modo la traduzione lapidaria di due modi di "sentire" la propria esistenza che fanno paura, entrambi agli estremi di un sentimento sociale che pare essersi smarrito in questo clima di reclusione che acutizza tensioni e demolisce certezze.

Dopo un anno di pandemia e di paura il mondo è tornato ad essere quello che per i nostri avi è sempre stato, distante, misterioso e pieno di insidie nascoste. Non è una regressione, ma un semplice passo indietro, una di quelle cose che non siamo stati abituati a fare, coccolati e lusingati da quel tutto facile e alla portata di tutti che caratterizza le società dell'opulenza, occidente in primis. Che ci piaccia o meno, oggi è necessario prendere coscienza che è in atto una sorta di rieducazione forzata che ci impone di riconsiderare certezze, privilegi e conquiste e osservare il mondo che ci circonda usando un'ottica diversa: non più con tanti sguardi di tanti singoli, ma con uno sguardo unico, collettivo, direi per certi versi unitario che ci permetta, e in qualche modo ci obblighi a considerarci un "unicum" dove tutto, nel bene e nel male, è destinato a coinvolgere tutti.
Forse questa consapevolezza, per certi versi così difficile da accettare, è l'unico modo che abbiamo non solo per uscire da questa pandemia globale, ma anche per ricostruire un tessuto sociale decisamente più solidale ed equilibrato in grado di affrontare, sostenere e superare in futuro le diverse crisi che minacciano la sopravvivenza stessa del nostro pianeta e dell'umanità che la abita.


Michelangelo Dotta
NP maggio 2021

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