Come si cambia

Pubblicato il 29-11-2020

di Gabriella del Pero

Ho sentito parlare della proposta di attuare un sondaggio su larga scala per valutare se siano più numerosi coloro che ritengono di aver “perso” tantissime cose a causa della pandemia rispetto a coloro che sostengono invece di averne guadagnate, apprezzate o riscoperte molte di più. Forse emergerebbero dati interessanti e magari ci sarebbero delle sorprese… chissà! Quel che è già certo (e non necessita di sondaggi ufficiali perché è sotto gli occhi di tutti) è che su questo argomento i pareri sono in effetti molto contrastanti e a volte opposti, a testimonianza del fatto che più dei concreti avvenimenti esterni contano le modalità con cui essi vengono vissuti, gli occhiali attraverso i quali vengono osservati. Per la serie “niente sarà più come prima”, nel corso delle settimane scorse se ne sono sentite tante: da chi ripeteva che appunto cose prima “normali” (andare al cinema o a scuola, al parco o in pizzeria) non lo saranno mai più, a chi sosteneva che finalmente abbiamo avuto l’occasione di apprezzare le piccole cose e i gesti quotidiani che si fanno in una casa, a chi invece confessava di aver avuto delle enormi difficoltà a restare confinato a lungo nella propria abitazione e ha creduto di impazzire, a chi riconosceva che la crisi ci ha fatto scoprire – togliendocele – che certe cose non erano poi così essenziali e ci ha liberati da tante pretese inutili… C’è chi afferma che, grazie alla pandemia, abbiamo riscoperto il senso di appartenenza ad una comunità, l’orgoglio di essere parte di una stessa collettività e chi osserva al contrario un evidente aumento della diffidenza e dell’egoismo, se non addirittura dell’astio e dell’odio reciproci. Alcuni sono angosciati per essersi riscoperti più fragili, più vulnerabili, più esposti a pericoli nuovi e nemici invisibili.

Altri sono divenuti più coscienti che il mondo è davvero un piccolo villaggio e che un problema insorto in un luogo percepito come “lontano” si ripercuote inevitabilmente ed in batter d’occhio nel resto del globo. Alcuni vorrebbero rifugiarsi dietro muri, barriere e confini e inneggiano a nazionalismi e localismi come possibili vie di salvezza. Altri parlano della grave crisi economica che la pandemia ha provocato come della più terribile catastrofe dal dopoguerra, ma c’è anche chi la considera un’occasione per provare ad essere un po’ più essenziali, in modo serio. Insomma, in questo tempo di epidemia Covid sono davvero tanti gli stimoli, le riflessioni, le considerazioni di tutti i tipi che sono emersi e continuano ogni giorno ad emergere ed accompagnarci, tanto che non è infrequente provare una sensazione di confusione, di incertezza, di disorientamento. Per provare a trarre una conclusione, faccio mie le parole dell’attuale vescovo di Pinerolo – mons. Derio Olivero – tratte dal libro intervista Verrà la vita e avrà i suoi occhi (Ed. San Paolo): «Per comprendere che cosa ci stia dicendo questo tempo, faccio un […] riferimento alla mia esperienza di malato di Covid. C’è stato un momento, lungo due-tre giorni, in cui sono stato vicinissimo alla morte. Sentivo che stavo morendo – e i medici mi hanno poi confermato che il rischio è stato molto alto – e ho percepito la morte come un momento in cui tutto, proprio tutto, evapora. Il corpo stesso stava evaporando, ma evaporavano anche le tante cose che facevo, i tanti progetti che avevo in testa, le cose della vita. E in questo evaporare solo due cose restavano salde, due cose che erano perciò il vero me, il mio nocciolo duro, la mia identità: una grande fiducia, che io da credente chiamo fede in Dio, cioè la certezza di una Presenza, e i tanti volti cari con cui ho stabilito delle relazioni. Sono convinto che, in questa esperienza personale, sia contenuta una verità universale, e che questo renda necessaria una riflessione seria su entrambi gli elementi».


Gabriella Delpero
NP ottobre 2020

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