Come una maratona

Pubblicato il 27-01-2023

di Redazione Sermig

«Viviamo un clima di incertezza dove qualsiasi affermazione viene smentita subito.
Nonostante la complessità è comunque necessario ribadire le ragioni della pace». Lo sguardo di Paolo Magri è ampio. Da vicepresidente dell’ISPI, è abituato da anni a leggere i grandi processi internazionali. Lo scenario di guerra attuale è solo l’ultimo elemento di incertezza, dopo la grande crisi del 2007 e la pandemia.

IL MONDO DI OGGI APPARE PIÙ DIVISO. LA STESSA IDEA DI CONFINE VIENE RIMESCOLATA…
«Dopo il 1989 ci siamo illusi che i confini non avessero più il valore degli anni precedenti. Abbiamo visto la dilatazione della globalizzazione: circolazione delle merci e delle persone senza precedenti. In realtà dal 2008 con la crisi finanziaria abbiamo capito l’importanza dei confini per frenare gli eccessi della speculazione internazionale. Poi il terrorismo e l’immigrazione hanno generato nuova attenzione ai confini e nuovi muri anche all’interno dell’Europa. In seguito Trump con il protezionismo.
Infine, la pandemia che ha fatto della chiusura dei confini uno strumento di contenimento del virus. Attualmente la crisi energetica ci sta spingendo nella stessa direzione: chiusura e difesa dell’interesse nazionale, il diverso come un pericolo da cui difendersi.
Dal mondo "piatto" si è passati ormai da anni a una rinascita dei confini, visti come estremi rimedi ai mali di questi tempi. Su questa torta cade la ciliegina di una guerra tradizionale come quella in Ucraina, dove i confini, l’andare avanti e indietro sul territorio (invasione), sono un elemento determinante che ci fa ritornare nel novecento in modo plastico».

IN UN CONTESTO DI GUERRA, CRESCONO INEVITABILMENTE ANCHE GLI INVESTIMENTI PER LE ARMI. FINO A CHE PUNTO?
«È chiaro che stiamo vivendo una fase di riarmo anche in Europa. Ma c’è un punto da considerare. A livello economico deve ancora venire l’ora più buia ed è difficile immaginare che siano possibili ulteriori e massicci investimenti verso gli armamenti.
Fino a che punto è giusto per esempio armare l’Ucraina? Io credo che sia giusto combattere un invasore, però è lecito farsi delle domande. La situazione sta degenerando in una escalation senza fine e molti elementi iniziali sono superati. Se vogliamo che l’Ucraina difenda i valori europei, dobbiamo allora stabilire le regole di ingaggio».

COME SI AFFRONTANO LE CONSEGUENZE ECONOMICHE DI QUESTA INSTABILITÀ?
«Bisogna essere chiari nel dire che le difficoltà economiche che stiamo vivendo non sono tutte legate alla guerra. Facciamo un salto indietro di un anno. Con la pandemia gli Stati hanno aumentato il loro debito.
Già prima della guerra sapevamo che il ciclo di politica espansiva monetaria sarebbe finita e che la globalizzazione aveva qualche acciacco: i dazi per il commercio, catene lunghe di approvvigionamento di materie prime fermato dal Covid.
Parlavamo di transizione energetica, ma sapevamo che avrebbe comportato un po’ di inflazione, perché avremmo pagato tutto un po’ di più per avere le stesse cose. È in questo contesto che è arrivata la guerra che ci ha fatto capire che dove passano gli eserciti non passano più le merci.
Passano le persone che scappano (i milioni di rifugiati), ma non passa più il grano, non passa più l’energia.
Come ha detto il Fondo monetario ci troviamo di fronte a crisi su crisi.
Ed è tutto più complicato».

PERCHÉ?
«Se hai una grande crisi, anche di magnitudo più grande di quella che stiamo vivendo, la probabilità di trovare politiche per affrontarla esiste. Ma quando ti ritrovi ad avere tante crisi tutte insieme è un problema. C’è il rischio che per affrontare una crisi, scopriamo il fianco a un’altra. Faccio un esempio. Per fermare l’inflazione in genere bisogna alzare i tassi di interesse e raffreddare l’economia, ma una politica di questo tipo rischia di creare una fase enorme di recessione. Con il paradosso di far morire di fame la gente, far perdere i risparmi, impoverire i redditi».

COSA DOBBIAMO ASPETTARCI?
«Incrociamo le dita, speriamo che gli economisti sbaglino tutto, però c’è preoccupazione sul modello dei prossimi anni. L’incertezza di questi mesi fa da moltiplicatore. Il covid stesso è stato un acceleratore di crisi preesistenti, ma è come se la guerra in Europa avesse moltiplicato questa accelerazione. C’è una immagine che per me descrive bene questi ultimi anni. Sono stati come una maratona.
Un anno fa è come se avessimo visto l’arrivo: l’economia ripartiva, il turismo pure, insieme all’ottimismo.
Ma all’improvviso ci siamo trovati davanti a una crisi militare, umanitaria, alimentare ed energetica. L’economista turco-francese Nouriel Roubini, che per primo anticipò la crisi del 2008, ha pubblicato un libro sulle dieci mega minacce di oggi. Un’analisi durissima su uno scenario che non possiamo escludere. Lo ripeto, speriamo si sbagli».
 

A cura della redazione
NPFOCUS
NP novembre 2022

Questo sito utilizza i cookies. Continuando la navigazione acconsenti al loro impiego. Clicca qui per maggiori dettagli

Ok