Come un giardino

Pubblicato il 12-11-2023

di Francesco Occhetta

Ci sono momenti nella storia in cui, per rigenerarla, occorre scegliere parole nuove. Circa 10 anni fa il termine “ambiente”, per esempio, nelle sue declinazioni – transizione ecologica, nuovo modello di sviluppo, sostenibilità... – è stato in grado di modificare le agende pubbliche delle aziende e dei governi.

In questi ultimi tempi sta faticosamente sorgendo un’altra parola: fraternità. Il merito è stato di papa Francesco che il 3 ottobre 2020 ha firmato un’enciclica, Fratelli tutti, per portare il senso di questa parola al centro del dibattito.
Nessuna velleità, anzi. I tempi recenti ci insegnano come l’io non basti a se stesso: è sempre il “noi” che apre le porte a occasioni di riscatto nella società. È una sfida grande che ha bisogno di un’alleanza sociale nuova capace di capovolgere modelli che hanno perso umanità. Vale per tutti gli ambiti, dall’impresa al terzo settore, dalla politica e all’associazionismo.
La stessa Costituzione italiana è nata da un “dono” di fraternità: le culture politiche di allora decisero di fare un passo indietro rispetto ai propri interessi di parte per farne due avanti insieme per promuovere la dignità umana. Papa Francesco ha rilanciato “la fraternità” come nuovo paradigma antropologico su cui ricostruire gesti e leggi perché «la fraternità ha qualcosa di positivo da offrire alla libertà e all’uguaglianza » (Fratelli tutti, 103).

La sfida è difficile: il libro della Genesi racconta che la fraternità viene tradita dalle lotte tra fratelli. Nella Torah stessa non vi è alcun rapporto fraterno che non sia conflittuale, quasi a sottolineare che la fraternità è frutto di un processo di maturazione che passa per la ricomposizione di ciò che si è spezzato. Sono note le storie di Isacco e Ismaele, Esaù e Giacobbe, Giacobbe e Labano, Giuseppe e i suoi fratelli e così via. Il gesto di Caino ne è l’archetipo, è una violenza contro chi ha il suo stesso sangue, non contro lo straniero. Nei rapporti umani la gelosia annienta la fraternità.
Quando poi la fraternità non trova spazio nelle culture, l’altro diventa un pericolo e un nemico da abbattere.
La fraternità rinasce solamente «da uomini e donne che fanno propria la fragilità degli altri, che non lasciano edificare una società di esclusione, ma si fanno prossimi e rialzano e riabilitano l’uomo caduto, perché il bene sia comune» (Fratelli tutti, 67). La fraternità va oltre le culture e le appartenenze. È una sfida grande.
La fraternità, diceva David Sassoli quando parlava di Europa, è come l’atto di coltivare un giardino. Nella Bibbia, dal libro della Genesi all’Apocalisse, il giardino è uno spazio in cui la natura incontra la cultura e la libertà dell’uomo e della donna. Il termine “gan” rimanda a uno spazio recintato mentre il greco traduce “giardino” con paraidos che rinvia al termine pardes, armonia.

Il giardino è anzitutto un microcosmo di armonia, lo è “in principio” della creazione e all’origine di ogni vita, lo sarà “alla fine” grazie alla promessa di Gesù «sarai con me in paradiso» [nel giardino della vita].
Così l’uomo tra l’inizio e la fine del suo tempo è chiamato a popolare, irrigare, abitare, custodire e nutrirsi dei frutti del giardino. Il significato di Eden rimanda al luogo della delizia, della fertilità e del divertimento ma anche all’esperienza della separazione da sé, dagli altri e da Dio: nell’Eden la vita di un fiore e di un animale come quella di un uomo possono crescere e germogliare oppure appassire o essere calpestate. L’esperienza del giardino include anche separazione e vergogna: dopo aver mangiato del frutto della conoscenza l’uomo e la donna si nascondono dietro agli alberi per paura di Dio. Quando Dio cerca Adamo e gli chiede «Dove sei?» egli dà la colpa a Eva invece di riconoscere la sua responsabilità.
Il giardino può diventare il luogo dello smarrimento e della solitudine come quando, nel giardino degli ulivi, il bacio, invece di unire, diventa simbolo del tradimento. Per alcuni diventa il luogo in cui ci si addormenta per non riuscire ad affrontare la realtà, mentre per Gesù è la condizione per ascoltare e abbandonarsi in silenzio alla volontà del Padre.

Ma c’è di più. Gesù viene crocifisso in un luogo in “c’era un giardino” e lì si trovava un sepolcro nuovo. Anche quando egli risorge viene scambiato per un giardiniere. È in questo nuovo giardino che lo sposo e la sposa si riconoscono e si ritrovano e la Chiesa celebra la vittoria della Vita sulla morte.

In Gen 2, 15 è scritto che Dio ha piantato un giardino e vi ha messo l’uomo perché lo coltivasse e lo custodisse. L’uomo deve coltivarlo da creatura consapevole del limite e della finitudine, della caducità del tempo e delle forze che diminuiscono. Nel giardino l’uomo co-crea con Dio ed è chiamato a salvaguardare o a ricomporre le relazioni che si fratturano.
È da qui che rinasce la fraternità.
 

Francesco Occhetta
Focus
NP ottobre 2023

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