Come un bell’olivo

Pubblicato il 08-11-2022

di Flaminia Morandi

Le piante: le crediamo silenziose e sono grandi comunicatrici, dice Stefano Mancuso, affascinante narratore del mondo vegetale. Immobili, riescono a conquistare terre lontane, attecchiscono in ghiacci e deserti, ovunque portano vita. Sopportano gli stress, si adattano all’ambiente, attraversano il mare trasportate da uova di pesce, resistono senza acqua dolce. Dopo un’esplosione nucleare ripuliscono l’ambiente contaminato. Ragionano collettivamente, come gruppo. La rete invisibile di filamenti fungini sotto le loro radici le avverte quale pianta del bosco ha bisogno di quale nutriente e si affrettano a mandarglielo sotterraneamente.

Se invece di guardare distrattamente le manifestazioni della natura, ci calassimo nella loro essenza, scopriremmo che in ogni aspetto del creato Dio dissemina il suo messaggio d’amore sperando che qualcuno si fermi a decifrarlo. L’attenzione all’albero, dice il gesuita e biblista Jean Pierre Sonnet, è attenzione all’uomo che vive in simbiosi con lui. Una simbiosi visitata da Dio.

All’invito di papa Francesco per l’elaborazione di una teologia mediterranea, Sonnet risponde con uno scritto pieno di poesia e di rimandi, mettendosi in sintonia con l’olivo: l’albero civilizzatore delle terre del Mare Nostrum, da sei millenni parte del giardino umano, ispiratore del muretto a secco, pietra su pietra, a mano, contro l’erosione, creatore del nostro paesaggio. L’olivo non prevede vecchiaia, il tronco millenario e rugoso mette foglie giovani “come giovane pianta” (Gb 14,7-9). Nella fede cristiana l’olivo rappresenta la più radicale ripresa della vita, ha quasi un ruolo da quinto Vangelo: Gesù comincia la sua passione nel giardino “degli olivi”, è sepolto in un luogo con alberi (Gv 19,41) e in questo giardino risorge, scambiato per il giardiniere (Gv 20,15). Gesù consacrato con l’olio d’olivo per la sua missione di compassione, “fasciare i cuori spezzati” con un “unguento di gioia” (Is 61,1; Lc 4,18). Per Cirillo di Gerusalemme il battesimo cristiano è una partecipazione “ai frutti dell’olivo fecondo che è Gesù Cristo”, il nostro “bell’olivo”.

Nel Deuteronomio Mosè stabilisce che in caso di assedio, gli alberi da frutto siano risparmiati: «Non brandirai l’ascia per distruggere gli alberi, perché sarà dei loro frutti che tu ti nutrirai… L’albero del campo è un essere umano (’adam), per essere da voi assediato?» (Dt 20,19). Il gioco di parole è nell’analogia tra l’albero e ’adam: l’albero, ovviamente, non è un essere umano; o più precisamente, non è un uomo di guerra. Ogni albero è cristico, non solo per la forma a croce creata dal tronco e dai rami, ma per la sua non violenza. Resta immobile, disarmato di fronte alla mobilità strategica dell’uomo. Incassa ogni colpo, non ricambia le ferite che gli vengono inferte. È mite, generoso, paziente e dolce: come Gesù. E noi, come vogliamo essere? Come ’adam o come il nostro “bell’olivo”?


Flaminia Morandi
NP giugno / luglio 2022

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