Cittadini consapevoli
Pubblicato il 09-04-2025
“Libertà” è un concetto che ha avuto declinazioni diverse nel corso del tempo. Nell’accezione più diffusa in occidente essa è stata intesa come “libertà civile” e ha alimentato le battaglie della Rivoluzione francese del 1789 e quelle successive del liberalismo ottocentesco: libertà dalla tirannia, dall’assolutismo regio, dai privilegi dell’aristocrazia, dalle imposizioni e dai vincoli arbitrari del potere.
In un’altra accezione, più recente, essa è stata intesa come “libertà dal bisogno” e ha alimentato le lotte del movimento operaio: lotta contro lo sfruttamento, contro le differenze di classe, contro le ingiustizie sociali.
Questa doppia valenza del concetto di libertà ha trovato una mirabile sintesi nella Costituzione italiana del 1948, dove i “diritti civili” (figli del pensiero liberale) sono riconosciuti accanto ai “diritti sociali” (figli del pensiero socialista).
Vorrei tuttavia soffermarmi su un altro tipo di libertà, la “libertà di pensiero”. Molti sostengono che qualsiasi siano le imposizioni di regimi autoritari, rimane una sfera nella quale ognuno è libero, la libertà di pensare.
Ognuno di noi – si dice – può esprimere con la propria coscienza i giudizi che vuole, anche quando non è libero di esprimerli pubblicamente, anche quando deve tacerli persino nell’intimità della casa perché qualcuno di troppo potrebbe ascoltare.
È davvero così? La nostra mente è davvero libera nella formulazione dei suoi pensieri?
La storia del Novecento insegna che i nostri giudizi sul mondo e sui singoli avvenimenti sono il frutto delle informazioni che riceviamo; lo stesso sistema valoriale con il quale giudichiamo il bene e il male, il giusto e l’ingiusto, il diritto e il crimine, sono prodotti storici, perché i nostri valori fondanti (siano essi i principi di una fede religiosa o quelli di un’educazione laica) devono necessariamente misurarsi con il bagaglio di informazioni che riceviamo.
Prendiamo un caso specifico, la guerra tra Russia e Ucraina: la stragrande maggioranza dei russi approva l’aggressione di Putin e la stragrande maggioranza degli occidentali la condanna.
Significa che nella Russia postcomunista ci sono sistemi valoriali differenti da quelli dell’Europa occidentale?
O non significa, invece, che la “libertà di pensiero” non è una categoria assoluta, ma una categoria relativa?
E che quindi un’“aggressione” può essere presentata come “autodifesa”?
La riflessione riconduce al concetto di “totalitarismo” e al modello elaborato da Mussolini esattamente cent’anni fa, a partire dal discorso del 3 gennaio 1925 con cui trasforma il governo fascista in regime.
Politico spregiudicato ma intuitivo, Mussolini capisce che la Grande Guerra 1914-18 ha creato un soggetto nuovo, l’opinione pubblica. Sino ad allora ciò che pensava la gente non importava, contava solo ciò che pensava la classe dirigente (i possidenti, i politici, gli intellettuali, i liberi professionisti): tutti gli altri, contadini, operai, cittadini comuni, probabilmente non pensavano ad altro che a mettere insieme il pranzo con la cena. La Prima guerra mondiale determina però una mobilitazione generale di uomini e di forze: in Italia vengono arruolati 5milioni 200mila soldati, non c’è famiglia dalla Valle d’Aosta a Capo Pachino che non abbia al fronte un parente, un amico, un conoscente. E allora la gente vuole sapere “perché” si combatte, dove, come si chiamano i luoghi delle battaglie, qual è l’andamento del conflitto. Un dato su tutti: la Domenica del Corriere, che nel 1914 vendeva 80/90mila copie alla settimana, nel 1918 arriva a quasi 2 milioni. Questa è l’”opinione pubblica”, frutto della prima, drammatica esperienza collettiva della società. Terminato il conflitto, questo nuovo soggetto non può rientrare nell’anonimato dei propri campi o delle proprie “boite”: ormai la “gente” vuole sapere, essere informata, dire la propria, partecipare.
Mussolini capisce che in presenza di questa nuova realtà non basta la violenza per imporre un regime autoritario. Bisogna conquistare il consenso dell’opinione pubblica, manipolandola, condizionandola, soggiogandola, ma ottenendone l’approvazione.
Nasce così il “totalitarismo”, che Hitler e Stalin esaspereranno nelle rispettive esperienze, ma richiamandosi allo stesso modello del fascismo italiano, che si fonda su tre principi: il primo (scontato) è la violenza, per ridurre al silenzio gli oppositori; il secondo è il controllo della formazione, per crescere nelle scuole una generazione di balilla votati all’onore, all’obbedienza, all’entusiasmo guerriero; il terzo è il controllo dell’informazione, perché l’opinione pubblica sappia ciò che il regime vuole che si sappia e resti all’oscuro di tutto ciò che il regime vuole sia taciuto. Il prodotto di vent’anni di educazione fascista si può constatare digitando su Youtube “10 giugno 1940”: compare il discorso con cui il Duce annuncia l’ingresso dell’Italia in guerra e a cui la folla risponde con urla di delirio.
Non erano fascisti precettati e invasati quelli che urlavano: erano i nostri padri, i nostri nonni, cattolici praticanti a cui il regime aveva tolto la libertà di pensiero riplasmandone la coscienza. Quella stessa generazione ha pagato il prezzo della guerra sulla propria pelle e ha dovuto lottare nella Resistenza per riconquistare la libertà vera, che non è solo libertà civile, politica, sociale: è anche, forse è ancor più, libertà intellettuale, quella che ci viene garantita da un’informazione plurale, dalla trasparenza su quanto accade attorno a noi, dal confronto aperto tra chi la pensa in modo diverso. Perché solo con la libertà intellettuale la nostra coscienza è libera e il nostro sistema di valori può esprimersi senza essere sviato.
Nel momento in cui ci avviciniamo all’ottantesimo del 25 aprile è a quella libertà che dobbiamo, in primo luogo, guardare.
Perché a difenderla non bastano le leggi, servono la consapevolezza di ognuno di noi, la nostra presenza attiva all’interno della comunità, la nostra capacità di capire e di partecipare. Anche perché attorno a noi, in troppi luoghi, quella libertà è negata.
Gianni Oliva
Focus
NP gennaio 2025