Cinquanta denari

Pubblicato il 20-07-2021

di Matteo Spicuglia

Messio era un giova­ne di belle speranze. Figlio di Gaio, della tribù Fabia, di Beri­to. Vita dura, pover­tà tanta, la fame che ti fa cercare un ri­scatto sempre e comunque. Messio era pronto a tutto: nessuno scrupolo, nes­suna remora, nessuna commozione. «Farò tutto quello che serve, basta che pagate!». Anche uccidere? «Certo». In guerra? «Nessun problema». Cosa c’è di meglio del mestiere di legiona­rio per arricchirsi ed essere qualcuno! Ascolti gli ordini, entri in azione, ese­gui, torni, incassi e te la godi. Ordina­ria amministrazione.

In quel mese di marzo del 73 dopo Cristo spuntò un’occasione imperdi­bile. C’era una cittadella da espugnare: Masada rimaneva alta sulla roccia, il Mar Morto sullo sfondo, circondata da dirupi e protetta da lunghe mura. Era diventata la roccaforte degli ultimi ze­loti, quelli che non si erano arresi alle sconfitte, alla caduta di Gerusalem­me, alla distruzione del tempio. Era­no asserragliati sul monte con donne e bambini e la convinzione di farcela. Avevano però sbagliato i conti perché l’esercito romano non aveva la fama di arrendersi. Tutt’altro. Il comandante Lucio Flavio Silva schierò i suoi uo­mini migliori, quelli della Legione X Fretensis: tra i 6 e gli 8mila soldati che si erano già distinti nell’assedio di Ge­rusalemme con massacri e crimini in­dicibili. Pronti a ripetersi anche questa volta.

Messio sapeva come fare e andò fino in fondo. Prima l’assedio durato mesi, poi le operazioni finali. I romani erano riusciti a costruire una rampa gigante­sca per arrivare direttamente alla porta della fortezza e usare così le loro mac­chine da guerra per farsi spazio. L’as­salto finale fece paura anche ai mille ebrei asserragliati dentro che capiro­no presto di non avere più scampo. Il capo dei ribelli, Eleazar, sapeva quale sarebbe stato il trattamento riservato ai combattenti, ma anche a donne e bam­bini. Le stragi di Gerusalemme passa­vano ancora di bocca in bocca. Fu così che per evitare il peggio, Eleazar deli­berò un suicidio di massa. Scrisse un testimone diretto: «Tutti uccisero l’uno sull’altro i loro cari, quindi si distesero ciascuno accanto ai corpi della moglie e dei figli e, abbracciandoli, porsero senza esitare la gola agli incaricati di quel triste ufficio».

Masada cadde così. Quando Messio entrò vincitore trovò solo cadaveri. Ma era contento: massimo risultato, con il minimo sforzo. Adesso, sarebbe arri­vato il momento più bello, quello della paga. Si presentò al comando, incassò quanto pattuito e segnò tutto su un pa­piro. Solo in quel momento si accorse che qualcosa non tornava: «Indennità di 50 denari. Spese per l’orzo: 16 dena­ri. Spese per alimenti: 20 denari. Stiva­li: 5 denari. Cinturini in pelle: 2 denari. Tunica in lino: 7 denari».

L’assedio era stato più lungo del pre­visto: 50 denari incassati, 50 denari spesi. Saldo zero. Una fregatura. Nem­meno il tempo di godersi la vittoria e la soddisfazione dell’impresa. Messio ebbe un moto di stizza, accartocciò il papiro e lo buttò per terra, in mezzo alla sabbia ocra della fortezza ormai in rovina.

Gli archeologi lo hanno ritrovato duemila anni dopo. Una scoperta incredibile che fa luce sull’entità della paga degli sterminatori del tempo. Un frammento che ha fatto entrare Mes­sio nella storia, ma non come voleva lui. Da legionario rincorreva gloria e successo: di lui rimane solo il sangue versato e la stizza del suo gesto da pic­colo uomo, testimone di quanto inutile e atroce sia la guerra. Ieri come oggi.

 

Matteo Spicuglia
NP aprile 2021

 

Questo sito utilizza i cookies. Continuando la navigazione acconsenti al loro impiego. Clicca qui per maggiori dettagli

Ok