Che barba!

Pubblicato il 17-12-2020

di Flaminia Morandi

Il 55% dei maschi europei oggi porta la barba, forse per non passare 3.000 ore della propria vita a radersi (secondo i calcoli della Braun), forse perché la barba è una moda "hipster" (che include bicicletta, birra artigianale, ascolto della musica dei vinili, cibo bio...). La barba non è affatto un accessorio innocente, anzi, è stata addirittura un problema teologico.

C’è la famosa barba di Aronne nel salmo 132, segno dell’uomo saggio e pacificato, con l’olio che scende sui peli come la rugiada dell’Ermon. Per gli ebrei la barba era sacra e poteva essere tagliata solo in segno di lutto. Se a tagliarla erano i nemici, come fece il re degli ammoniti agli ambasciatori del re Davide, equivaleva a una dichiarazione di guerra. Aveva la barba san Giovanni Battista, il precursore, forse, della setta degli Esseni, tutti barbuti. Ha la barba l’uomo della Sindone. Le più antiche immagini di Gesù sono barbate: perché, secondo lo storico dell’arte padre Heinrich Pfeiffer, fanno riferimento a un unico modello, il più vicino al vero. Le rappresentazioni di Gesù senza barba si ispirano piuttosto al modello del dio Apollo: dipinte a uso e consumo dei convertiti pagani, che volevano Gesù giovane, bello e glabro. San Clemente d’Alessandria, II secolo, la pensava come padre Pfeiffer: la barba rende simili all’immagine del Figlio, primogenito di molti fratelli. «Forse Dio stima tanto i peli della barba che negli uomini li fa spuntare insieme alla prudenza», diceva. Quando fu eletto vescovo, sant’Ambrogio, che come magistrato romano si radeva, si affrettò a farsi crescere la barba, oltre che a farsi battezzare. La barba infatti era prescritta dalle Costituzioni apostoliche, sempre per le stesse ragioni: radersi la barba è disprezzare Dio «che ti ha creato a sua immagine». Il testo includeva anche i capelli: sul portarli corti o lunghi si accese un dibattito, che rifletteva il punto di vista della cultura occidentale e di quella orientale.

Un testo inglese di diritto canonico del VI secolo, per esempio, ordina ai preti di non lasciare crescere né barba né capelli. Un canone del Concilio di Roma, 721, sembra imporre l’uso di portare i capelli lunghi legati dietro la nuca, come molti preti orientali, ma venne interpretato alla latina, come obbligo di tagliarli. Il Concilio di Tolosa del 1119 minacciò di scomunicare chi si fosse lasciato crescere la barba «come i laici». Uno dei motivi del drammatico scisma tra Chiesa d’Oriente e Chiesa d’Occidente, nel 1054, fu che gli occidentali: «Celebrano con gli azzimi, si radono la barba e i loro monaci mangiano la carne», secondo l’accusa del patriarca di Costantinopoli Michele Cerulario.

Ci si è fatti guerra anche a colpi di barbe e di menti glabri, usati come segni di appartenenza. Peli, carne, corpo sono sì materia sacra, ma come una crisalide. La sua vocazione, diceva san Massimo, è screpolarsi, consumarsi per far emergere «l’uomo interiore al cuore», «il fuoco ineffabile e prodigioso nascosto all’interno dell’anima come un roveto ardente»: l’essere «divinizzato», persona di pace.


Flaminia Morandi
NP ottobre 2020

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