Che maglia metto domani?

Pubblicato il 10-08-2013

di Carlo Degiacomi

di Carlo Degiacomi - Rana Plaza: una tragedia da mille morti che ci interpella.

AMBIENTE AD AMPIO RAGGIO

In un’ampia visione dell’ambiente c’è anche l’ambiente urbano; poi c’è l’uomo che, nell’ambiente che crea, dovrebbe avere come obiettivi una qualità della vita migliore e meno inquinamento per la natura; poi c’è il rispetto della vita umana, poi c’è l’attenzione che dobbiamo avere anche per i luoghi che sono lontani, anche per le situazioni che conosciamo poco. E così via.

Possiamo fare ginnastica mentale su queste relazioni nel caso dell’incidente alla periferia di Dacca (nella cittadina di Savar) in Bangladesh, un piccolo Paese che geograficamente è confinante con India e Birmania, uno dei più densamente popolati di tutto il mondo: in un’area di circa 144.000 kmq vivono oltre 150 milioni di abitanti. Come se nell’Italia settentrionale con l’aggiunta della Toscana abitassero tutti gli italiani, i francesi e gli spagnoli. L’incidente è recente: 24 aprile 2013.

CHE COSA È SUCCESSO?

Mettete alla prova la vostra memoria. Un palazzo di 8 piani che era stato costruito per ospitare uffici e progettato per 6 piani, denominato Rana Plaza, è crollato, sbriciolandosi completamente. Mentre erano in corso i lavori per costruire un nono piano. Sono state estratti dalle macerie ben oltre 1.000 morti (secondo le ultime informazioni). Ospitava cinque laboratori tessili con oltre 3.122 persone.

Nel novembre 2012 c’era stato un altro incidente, un rogo, nella fabbrica Tazreen sempre alla periferia di Dacca in cui sono morte 112 persone. A seguito del quale il colosso americano Disney aveva cessato gli ordini nel Paese. L’8 maggio 2013 si ha notizia di un incendio in una fabbrica di abbigliamento nella stessa zona: 8 morti. Si può, purtroppo, tranquillamente dire che è uno dei più gravi incidenti della storia industriale che nello stesso momento ha creato così tanti morti. È secondo solo all’incidente di Bhopal in India nel 1984, dove una nube tossica di isocianato di metile, uccise in poco tempo 2.259 persone e ne avvelenò decine di migliaia di altre, per cui ufficialmente si parla di un totale di 3.787 morti direttamente correlate all’evento, ma secondo altre fonti e stime di agenzie governative si arriva a 15.000 vittime indirette negli anni successivi.

I media ne hanno parlato ovviamente, ma quanto e come? Misurate su voi stessi se sapete già tutto quello che vi racconto qui di seguito.

ANCHE NOI SIAMO COINVOLTI

L’incidente di Dacca ha un filo sottile, ma certamente molto noto, che porta fino a noi, ai nostri acquisti e negozi. I lavoratori, in gran parte donne, che lavoravano in quella fabbrica stavano producendo materiali per le grandi marche tessili multinazionali, fino ad arrivare ad una italiana, la Benetton, che ha negato e ha detto che non conosceva tutta la catena di produzione. Pare che un’azienda a cui avevano assegnato una commessa sia ricorsa ad una ditta locale per circa 200.000 capi. Le maglie con le etichette sul luogo dell’incidente parlano chiaro.

La domanda centrale su cui fissare l’attenzione è sempre la stessa: come è possibile che lavoro, dignità, sicurezza – tre parole che dovrebbero stare insieme in tutto il mondo – siano ignorate in troppe realtà, complici le aziende occidentali?

Come è potuto succedere? Vi erano state denunce precedenti sullo stato delle strutture dove erano comparse crepe e nessuno aveva bloccato l’accesso al palazzo. Il permesso di costruzione era per un palazzo di 5 piani. Una situazione completamente illegale, di permessi, di sopraelevamento, di allarme messo a tacere, di sovraffollamento… Ma è tutta la situazione della produzione in questo mondo che è sotto accusa.

CHI HA REAGITO?

Dopo il crollo di Dacca – per cui è stato arrestato il proprietario Mohammed Sohel Rana, con altre 8 persone – è stata istituita dal governo una commissione speciale per ispezionare le fabbriche di abbigliamento del Paese: fino ad ora ne sono state chiuse 18 per non aver rispettato le norme di sicurezza e i diritti degli operai. Il sindaco è stato sospeso per aver rilasciato il permesso di costruire. Per alcuni giorni vi sono state manifestazioni (e anche violenze) come reazione e protesta all’incidente. Poi la situazione della produzione nel Paese ha ripreso su richiesta anche del governo preoccupato del blocco delle esportazioni.

QUALE SITUAZIONE ECONOMICA?

L’industria dell’abbigliamento, pare 100.000 realtà anche piccolissime solo nell’area di Dacca, in Bangladesh ha un giro d’affari di 20 miliardi di dollari all’anno, costituendo circa l’80% delle esportazioni del Paese.

La manodopera costa molto poco: lo stipendio minimo mensile è di 37 dollari al mese (circa 28 euro), meno dei 61 dollari della Cambogia e dei 150 dollari della Cina. Il clima sociale è fortemente antisindacale. Questo sistema è stato più volte criticato, non solo per le paghe molto basse e per i pochi diritti riconosciuti ai lavoratori, ma anche per le scarse condizioni di sicurezza. Il resto della popolazione si occupa prevalentemente di agricoltura. Recentemente si è scoperto che potrebbe essere sfruttata l’esistenza di ampi giacimenti di metano presente nel sottosuolo.

QUALE SITUAZIONE POLITICA?

Il Bangladesh ha raggiunto l’indipendenza dal Pakistan nel 1971. Dagli anni ‘90 si susseguono al governo due donne che sono rispettivamente figlia e moglie di due politici presidenti del Paese ed entrambi assassinati. Solo da pochi anni emerge una democrazia parlamentare fragile. È un Paese molto povero (centoseiesimo nella classifica mondiale su 160), ma promettente dal punto di vista economico, che ha ridotto al 32% – che è pure una cifra enorme – nel 2010 la percentuale delle persone sotto la soglia di povertà. Un Paese che ha una storia complicata che non ha permesso in oltre 30 anni di pacificare le tensioni tra diversi gruppi etnici e religiosi del Paese (musulmani 89,3% – suddivisi in varie fazioni anche terroristiche e fondamentaliste –, induisti 9,6%, buddisti 0,5%, cristiani 0,3%). I media parlano spesso del Bangladesh per gli scontri continui tra le forze di polizia e i sostenitori del gruppo islamista Hefazat-e Islam, che stanno causando giorno dopo giorno danni, violenze e morti da entrambe le parti (14 morti solo all’inizio di maggio). È anche il Paese dove opera la Grameen banck di Muhammad Yunus per il piccolo credito a microattività femminili.

CHE COSA SI PUÒ FARE?

Le persone che hanno coscienza chiedono che le grandi multinazionali europee e statunitensi sappiano che è una loro responsabilità assicurarsi che i propri subappaltanti garantiscano, a loro volta, le condizioni di lavoro sicure e tutelate dei lavoratori in qualsiasi Paese del mondo. Si è formato un primo cartello di alcuni marchi multinazionali che hanno sottoscritto l’Accord on Fire and Building Safety in Bangladesh per prevenire future tragedie. Bisogna che le ben note zone di trasformazione per l’esportazione in tutto il mondo rispettino le leggi fondamentali per il lavoro.

Concretamente e immediatamente le aziende occidentali coinvolte contribuiscano a risarcire le vittime. I sindacati bengalesi e internazionali sulla base di altre tragedie precedenti e degli standard dell’ILO (Organizzazione Internazionale del Lavoro) hanno calcolato che la somma necessaria a costruire il fondo di risarcimento per la tragedia del Rana Plaza ammonta a circa 54 milioni di euro, mentre quello per l’incendio alla Tazreen a circa 4,5 milioni di euro. I marchi devono assumere l’onere del 45% del totale, mentre il governo, l’associazione dei datori di lavoro bengalese (BGMEA) e i fornitori il restante 55%.

E nel mondo? Chiediamo che qualcuno ci spieghi se sono veri e come sono articolati alcuni dati che circolano: nel mondo oggi, 2013, ci sono due milioni di morti sul lavoro all’anno, circa 5.500 morti al giorno. Anche questo è ambiente.

A COME AMBIENTE - Rubrica di NUOVO PROGETTO

Immagine di Gampiero Ferrari

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