Cambio di rotta

Pubblicato il 24-08-2020

di Pierluigi Conzo

A conferma di quanto l’inquinamento stia diventando sempre più un tema “cult” quando si parla di benessere, l’ultimo World Happiness Report, pubblicato lo scorso 20 Maggio, dedica un intero capitolo alla relazione tra inquinamento e felicità.
In questo capitolo si sottolinea innanzitutto come l’importanza dell’ambiente sia ormai una consapevolezza globale. Da un’indagine condotta su un campione rappresentativo in 160 Paesi, emerge che il 62% delle persone anteporrebbe la protezione dell’ambiente alla crescita economica.
Solo la metà di essi si dichiara soddisfatta degli sforzi fatti finora per preservare l’ambiente nel proprio Paese. Il 74% percepisce il riscaldamento globale come una minaccia seria, mentre il 65% crede che il cambiamento climatico renderà più difficile la propria vita. Gli autori del capitolo, poi, analizzano in una prospettiva comparativa come le differenze in termini di dotazioni naturali tra i Paesi possano spiegare anche le differenze nei livelli di felicità dichiarata dai loro cittadini.

La natura ha un impatto diretto sulla felicità a causa di motivazioni evolutive. L’esposizione ad ambienti naturalistici migliora il benessere psicologico tramite riduzione di stress, aumento di emozioni positive ed effetti benefici sull’auto-regolazione. L’altra spiegazione risiede negli effetti indiretti dell’ambiente naturale circostante, tramite cioè lo stimolo che spazi pubblici aperti possono dare a comportamenti benefici per il benessere e la salute degli individui, come ad esempio l’attività fisica e le interazioni sociali. La terza spiegazione è che in ambienti naturali c’è meno inquinamento atmosferico ed acustico.

Per testare la relazione tra inquinamento e felicità, gli autori usano un campione rappresentativo di cittadini nei Paesi OCSE, cui viene chiesto di dare una valutazione soggettiva del proprio benessere. Le risposte sono poi messe in relazione ad indicatori oggettivi di qualità dell’ambiente nei Paesi dove i rispondenti risiedono. I risultati mostrano che il microparticolato ha effetti negativi su come le persone valutano la propria vita. In particolare, ad alti livelli di PM10 e PM2.5 sono associati più bassi livelli di benessere soggettivo.
Ecco quindi un ulteriore esempio di come l’ambiente e la sua protezione assuma sempre più, in tutto il mondo, un ruolo centrale. Insieme ai risultati che tracciano una relazione inversa tra qualità dell’aria e Covid-19, questo studio evidenzia ulteriormente la necessità di un cambio di rotta per una ripartenza “pulita”.
Occorre immaginare non più ambiente e crescita come fattori incompatibili: dal momento che entrambi sono elementi importanti per il benessere e che il microparticolato è causato per lo più da attività umane, rinunciare all’uno in nome dell’altro implicherebbe accontentarsi di un livello più basso di benessere rispetto a quello massimo raggiungibile. Ambiente e crescita, invece, opportunamente combinati con un mix lungimirante di politiche pubbliche, possono essere beni complementari alla felicità individuale. Alcuni esempi?

Stimolare la crescita economica “green” attraverso bonus fiscali ad aziende che investono in tecnologie pulite, finanziare settori cruciali per il mantenimento di standard ambientali, come ad esempio la mobilità sostenibile, incentivare interventi di efficientamento energetico, etc. Tali interventi premierebbero le imprese ambientalmente virtuose e spingerebbero quelle che non lo sono a riconvertirsi, riducendo al tempo stesso l’inquinamento e aumentando la qualità di vita nei contesti dove essa è messa più a dura prova.


Pierluigi Conzo
NP giugno / luglio 2020

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