Cambiare rotta

Pubblicato il 05-12-2024

di Edoardo Greppi

«Del Mediterraneo ho parlato tante volte, perché sono vescovo di Roma e perché è emblematico: il mare nostrum, luogo di comunicazione fra popoli e civiltà, è diventato un cimitero. E la tragedia è che molti, la maggior parte di questi morti, potevano essere salvati. Bisogna dirlo con chiarezza: c’è chi opera sistematicamente e con ogni mezzo per respingere i migranti. E questo, quando è fatto con coscienza e responsabilità, è un peccato grave». 

All’udienza generale in Piazza San Pietro del 28 agosto scorso, papa Francesco ha richiamato ancora una volta il tema dei migranti e dei doveri che i governi e la comunità internazionale hanno nei loro confronti. “Respingere i migranti” – espressione che ha ripetuto, con forza – evoca l’obbligo che grava sugli Stati di non refoulement, di “non respingimento” delle persone che si affacciano alle frontiere, stabilito dalla convenzione di Ginevra sullo status di rifugiato. Secondo l’art. 33: «Nessuno Stato Contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche».

Questo divieto di respingimento si riferisce a ogni forma di trasferimento forzato, compresi deportazione, espulsione, estradizione, e non ammissione alla frontiera. Gli Stati possono derogare al principio soltanto nel caso in cui, sulla base di seri e comprovati motivi, un rifugiato sia ritenuto un pericolo per la sicurezza del Paese o una minaccia per la collettività.

Il monito del Santo Padre è rivolto ai governi, in primis a quello italiano, che ha imboccato la strada del contrasto alle partenze (mediante accordi con i Paesi di imbarco) e dei respingimenti in mare. Si tratta di un monito severo, duro e chiarissimo, che ha solidi fondamenti nel diritto internazionale. In particolare, gli Stati hanno obblighi precisi, che scaturiscono dalla convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, dalla citata convenzione di Ginevra, dalle convenzioni sul diritto del mare e dalle numerose fonti del diritto dell’Unione Europea (trattati, carta dei diritti fondamentali e norme di diritto derivato). Il diritto internazionale vieta i respingimenti e le espulsioni collettive. Ciò significa che ogni persona, ciascun migrante ha il diritto di essere ascoltato; la sua posizione deve essere esaminata individualmente, e deve essere messo in condizione di spiegare le ragioni che l’hanno indotto a lasciare il suo Paese.

L’Italia ha solidi motivi per chiedere che gli altri Stati europei e l’UE – in una logica di condivisione delle difficoltà e degli oneri – si facciano carico del problema dei migranti. Ma le scelte politiche e normative non possono essere in contrasto con gli obblighi internazionali. L’adozione di norme sempre più restrittive, volte in primo luogo a impedire o quanto meno a contrastare gli arrivi, porta ad aumentare i rischi che i migranti corrono durante la navigazione. L’introduzione del metodo di assegnare alle navi delle organizzazioni non governative, a titolo di “porto sicuro”, una destinazione nell’alto Tirreno o Adriatico, ad esempio, lontana dal punto di raccolta dei migranti, impone lunghe tratte di navigazione. Di fatto, poi, determina l’allontanamento delle navi dalle zone di ricerca e soccorso, e impedisce ulteriori salvataggi in mare. 

Colpire le navi che soccorrono i naufraghi e le imbarcazioni in difficoltà è palesemente una scelta finalizzata a ottenere il consenso di opinioni pubbliche spaventate dai flussi migratori. Nella realtà, la quantità di migranti raccolti dalle navi delle ong è nettamente minoritaria rispetto al totale degli arrivi sulle coste. Questi avvengono prevalentemente con imbarcazioni che fortunosamente raggiungono la riva. Né vanno dimenticate le altre rotte e gli altri mezzi per arrivare in Europa.

Insomma, una seria politica, nazionale ed europea, impone che si trovino modalità per realizzare una governance del fenomeno migratorio, solida, efficace, rispettosa del diritto internazionale e del diritto costituzionale. Le migrazioni sono un fenomeno epocale, non si fermano, devono essere governate. 

Progettare forme di detenzione fuori dal territorio nazionale o – come è avvenuto con il precedente governo britannico – addirittura deportazioni in Paesi africani, ostacolare i soccorsi in mare rappresentano gravi offese ai valori della civiltà europea e del diritto cui essa ha dato vita. Il Papa ha esortato, in chiusura del suo discorso: «Cari fratelli e sorelle, uniamo i cuori e le forze, perché i mari e i deserti non siano cimiteri, ma spazi dove Dio possa aprire strade di libertà e di fraternità». «Tutti conosciamo la foto della moglie e della figlia di Pato, morte di fame e di sete nel deserto» ha ricordato ancora Francesco.

Uomini, donne, bambini affrontano lunghi, tortuosi, faticosi “viaggi della speranza”, che troppo spesso si trasformano in terribili tragedie. Questo è inaccettabile.



NP ottobre 2024
Edoardo Greppi

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