Autunno del destino

Pubblicato il 27-12-2020

di Gian Maria Ricciardi

Quei volti, quei nomi, nei giorni speciali dei ricordi, sono stati con noi. Sono le immagini molto particolari di un “ognissanti” molto particolare nei mesi interminabili del virus venuto da lontano che ci sconvolge ore, giorni, vita. A qualcuno ha rubato l’equilibrio, oppure la saggezza, a tutti la serenità. Ora, quei camion militari, incolonnati per le strade di Bergamo ci sono entrati dentro. Portavano via una generazione: spazzata con una raffica di vento o inghiottita da un’onda gigante del mare. Loro come tutti coloro che se ne sono andati “soli” nei letti d’ospedale: da noi giocoforza abbandonati con uno strappo alla nostra umanità. Con loro se n’è andata anche parte della nostra dignità. Hanno chiamato, alcuni, al telefono; altri hanno affidato l’ultimo messaggio ad infermieri e medici (angeli allora, molti denunciati ora: «dite a mia moglie che l’ho amata sempre»). Straziante!

36.000 e oltre: quante storie sono riaffiorate, lentamente, mentre tra le foglie di uno strano autunno camminavamo per i viali dei camposanti nel pellegrinaggio della memoria, quello che fa più civile una società. Sono stati attimi di incontri con vite spezzate da malattie invincibili, da incidenti non prevedibili, dall’incuria dell’uomo, dal non rispetto della natura e dell’ambiente.
Non c’era locations più idonea per leggere qualche passo della Laudato si' di papa Francesco che gli angoli, colorati dagli alberi, dei cimiteri di città, di paese, di montagna.
Certo là in quelle fotografie rubate alla vita ci sono tante storie, storie belle, altre meno. Ci sono rimorsi nostri, magari, per non aver perdonato, o allungato la mano per una stretta (allora si poteva); ci sono le tenerezze di momenti irripetibili di serenità magari immersi nella quotidianità povera di ieri; ci sono i sorrisi mancati, le cocciutaggini inutili. Ma ora, nel novembre 2020, nei giorni di luce irreale che, di nuovo e di già ci ha portato trombe d’aria ed alluvioni, virus e fango, c’è di più.

C’è un pezzo di storia, come ha detto il presidente Sergio Mattarella, che se ne è andato in una malinconica e solitaria solitudine. Sono andati via soli perché non potevano parlare ed hanno vissuto questo incubo, personale e mondiale, come se si muovessero in un tunnel sotto il mare, con il terrore dell’ossigeno che mancava, che svanisse la certezza della vita. Chi l’avrebbe mai detto: nell’epoca della comunicazione, dei social, della parola, del contatto via cellulare, via tablet, via tutto. Soli, davanti al destino, di fronte alla vita e a Dio. Troppi. Hanno visto spegnersi la luce in ogni parte d’Italia (e solo Dio ha visto i loro occhi chiudersi) e sono finiti nei teloni bianchi e nelle bare che i nostri preti e i nostri vescovi, veri pastori, hanno benedetto nelle chiese deserte e nei cimiteri, nei piazzali malinconici degli ospedali e delle case di riposo. Immaginiamo con trepidazione l’abbraccio con l’immenso e i segni di umanità negati in terra, trovati in cielo.

Ecco ora, in questo novembre speciale sono stati tutti con noi. Ci guardano dal cielo e ci hanno accompagnato sui viali del mistero. Ci hanno detto: «Fate attenzione, senza ossessionarvi». Ci hanno insegnato a sorridere alla vita perché si può anche con gli occhi gonfi? Sì, si può, soprattutto si può pregare e sperare.


Gian Mario Ricciardi
NP Novembre 2020

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