Autostrada per l'Olimpo

Pubblicato il 26-04-2021

di Redazione Sermig

La fotografia di una marcia funebre

21 settembre 2010 – 06:30 pm

Tokio, Giappone.

Radiale Interna C1

Certo che guardare ora questa imma­gine in bianconero, undici anni dopo averla scattata da dietro un parabrezza di una Toyota Corolla, alla luce di quanto è poi accaduto durante il 2020, mi fa male al cuore, e non perché si tratti dell'ennesima vittima del virus. Semplicemente mi rattrista come fotografo e amante della disciplina fotografica dover assistere impotente alla capitolazione di un'altra icona – l'ennesima dopo Pentax e Kodak – anch'esse costrette a un rinnovamento che sa tanto di resa: arrendersi davanti allo strapotere e alla potenza di fuoco degli smartphone e dei social network sta diventando una costante che non sembra avere nessuna intenzione di lasciare testimoni superstiti. Peccato!

In un'epoca in cui tutti pretendono di ottenere il massimo risultato spenden­do poco, un'azienda come Olympus semplicemente non era in grado di stare al passo con i tempi, quindi nel giro di dieci anni, più o meno da quando sono apparse le prime fotoca­mere/cellulari, centocinquanta anni di storia della fotografia sono andati a farsi "benedire" originando una crisi del settore che sta ponendo fine a un mestiere artigianale.

«Your vision, our future» (la tua visione, il nostro futuro), è stato per anni lo slogan che ha contraddistinto Olympus Corpo­ration, una iconica fabbrica di stru­menti ottici e fotografici di assoluta precisione, fondata a Tokio nel 1917, divenuta famosa per aver brevettato alcune fotocamere che hanno fatto la storia della fotografia, come la serie OM, e la serie Pen. Nel 1950, i tecnici furono addirittura in grado di progettare la prima "gastro-camera", ovvero il primo gastroscopio al mon­do che permetteva di realizzare foto all'interno dello stomaco attraverso una sonda grazie alla scoperta delle fibre ottiche.

Da quel momento non abbandonò più il settore medicale del quale Olympus divenne leader fino ai nostri giorni. No, Olympus non è tecnicamente fallita, soprattutto perché non sono ancora chiari i pro­getti della nuova proprietà che l'ha assorbita, ma il fatto di aver cessato e ceduto a una grande Corporation il reparto dedicato alla fotografia, quel­lo stesso che l'ha resa famosa e rispet­tata non meno di Nikon e di Leica, sta facendo credere ai suoi affezionati utilizzatori che difficilmente in futuro potrà tornare ai successi di un tempo avendo cessato il reparto ricerche e non essendoci progetti e denaro per mantenerla attiva.

Ne ho avute quattro di Olympus, una addirittura trovata a Roma per strada, buttata vicino alla pattumiera, forse rubata, forse dimenticata da un turista sbadato. Era una OM2 una reflex tradizionale 35mm con la quale una sera di agosto del '90 con un obbietti­vo prestato da un amico barman (non avevo soldi da spendere e mi dovevo arrangiare) riuscii a fare degli splen­didi ritratti a Ray Charles durante una storica esibizione ai Giardini Reali di Torino.

Guardando questa fotografia. Il pa­lazzo a destra dove si vede l'insegna luminosa Olympus, l'unica accesa ritratta mentre stavano calando le luci di una tiepida sera settembrina, è una immagine emblematica del volto di una città che deve la sua fortuna proprio alla ricerca e alla tecnologia di precisione, un monumento a ciò che un tempo veniva prodotto incorpo­rando un’anima fatta per durare e non quelle specie di "usa e getta", come la maggior parte delle cose inutili fabbri­cate in serie oggi.

NP Febbraio 2021   

Luca Periotto

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