Atroci e dimenticate

Pubblicato il 24-01-2023

di Paolo Lambruschi

Sono almeno 12 al momento i conflitti in corso che provocano nel continente, ormai un unicum con l’Europa, il più alto numero di vittime del pianeta e i maggiori spostamenti di popolazione interni (sfollati) e oltre i confini (profughi). Se non altro per le ondate di migranti che provocano queste guerre, dovremmo seguirle e chiedere ai media italiani di tenerci informati. Sono guerre per le risorse e per l’indipendenza o con sfondi religiosi sostenuti da potenze straniere che qui si combattono per procura.

Stiamo parlando di conflitti come quello nel Tigray, nell’Etiopia settentrionale (500mila morti in due anni, tra vittime degli scontri e della carestia provocata dal blocco degli aiuti e dall’incendio dei campi coltivati) che non possono essere definiti a bassa intensità per il numero di vittime e la violenza dei combattimenti. E poiché sono ignorati dai media italiani, che preferiscono dedicare paginate al gossip o alla morte della quasi centenaria regina Elisabetta piuttosto che alle centinaia di migliaia di vittime di queste guerre dimenticate, provvediamo a stilare un piccolo atlante dei conflitti più gravi.

Partiamo dalla Libia, dilaniata da 11 anni di conflitti tra le milizie della Tripolitania, con il governo centrale riconosciuto da molti governi e sostenuto dai turchi (e dall’Italia) e quelle della Cirenaica, guidate dal generale Haftar e sostenute da russi, egiziani e francesi. Qui la questione dei migranti diventa un problema di sicurezza oltre che di umanità perché ogni ondata del traffico può spaccare l’Europa. Ma i flussi di profughi nascono altrove. Nell’Etiopia, dove non è in corso solo il conflitto civile in Tigray tra governo federale e autorità regionali, ma anche la rivolta autonomista degli Oromo, lo Stato che circonda la capitale Addis Abeba, e quella nel Benishangul Gumuz, la regione al confine col Sudan che ospita la Grande Diga del Rinascimento sul Nilo. Non dovrebbe esserci indifferente in Corno d’Africa la Somalia, colonia e poi protettorato italiano fino al 1960, dove la guerra civile va avanti da 30 anni e dal 2006 si combatte contro le milizie jihadiste di Al Shabaab vicine ad Al Qaeda che occupano le zone rurali della zona centro sud del Paese. Da Somalia e Libia sono penetrati jihadisti in tutta l’Africa, anzitutto stranieri (iraniani, afghani, pakistani, bangladeshi) che si erano fatti le ossa in Siria e Afghanistan. Nel nord della Nigeria hanno assunto 20 anni fa il nome di Boko Haram (che significa "l'educazione occidentale è sacrilega”) e combattono il governo federale. Stanno infiammando tutto il versante occidentale in Camerun, Burkina Faso, Mali e Niger. In Camerun e Mali, Stati Uniti e Francia, ex partner militari dei governi ritiratisi, sono stati sostituiti dalle truppe russe mercenarie della Wagner corporation. Anche in Repubblica Centrafricana i russi hanno sostituito i francesi e combattono con le truppe governative e quelle alleate ruandesi nel conflitto che da quasi 10 anni vede il 70% del territorio dello Stato occupato dai ribelli armati della Coalizione dei patrioti per il cambiamento.

Sul versante orientale, nel depresso e marginalizzato nord del Mozambico, sono invece le cellule dello stato islamico, rivali di Al Qaeda, a contrapporsi all’esercito, penetrando nelle zone minerarie e petrolifere del centro. In Repubblica Democratica del Congo, soprattutto la parte orientale è infestata da gruppi armati, molti dei quali legati al controllo del territorio e delle sue risorse, le preziosissime terre rare. Infine, ma non per violenza brutalità, i due conflitti civili in Sudan e Sud Sudan, lo Stato più giovane d’Africa cui l’indipendenza da Khartoum non ha dato la pace. Questo è un promemoria della terza guerra mondiale a pezzi, che non si sta combattendo solo in Ucraina, anche se i media sono concentrati solo sul cuore dell’Europa.


Paolo Lambruschi
NP novembre 2022

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