Angeli e demoni

Pubblicato il 04-08-2022

di Matteo Spicuglia

L’oblio della guerra siriana e il paradosso della comunicazione

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’oblio può essere un angelo o un demone. E un angelo quando la vendetta lascia spazio al perdono e un nuovo inizio prende il sopravvento su ogni rivendicazione. E un demone quando l’indifferenza aggiunge dolore a dolore e chi si commuove lo fa con un occhio solo.

La guerra siriana oggi conosce solo demoni. Iniziata a marzo del 2011, nei fatti non e ancora finita: una scia di sofferenza da mezzo milione di morti, undici milioni di sfollati, decine di citta distrutte, nessun segnale di ricostruzione. «La speranza – dice il nunzio apostolico, cardinale Mario Zenari – se ne e andata dal cuore di tanta gente e in particolare dal cuore dei giovani, che non vedono futuro nel loro Paese e cercano di emigrare».

Chi resta racconta una realtà terribile.

Come padre Ibrahim Alsabagh, un francescano che non ha mai lasciato Aleppo, nemmeno nei momenti più bui. Con i confratelli del convento di San Francesco ha aiutato tutti: la chiesa posta sulla linea del fronte, il pozzo del convento accessibile durante l’assedio a tutte le fazioni in guerra, una vicinanza fatta di umanità e aiuti concreti.

È lui stesso a raccontare le prove che la popolazione sta vivendo nelle ultime settimane, le atrocità di uno scenario bellico che nessuno ormai racconta più. Il presente di Aleppo e segnato da un «freddo che morde senza nessuna possibilità di riscaldarsi», da «una fame dovuta all'inflazione e all'aumento dei prezzi, specialmente degli alimentari». «La nostra e una vita nel buio, – scrive padre Ibrahim – abbiamo nella città due ore di elettricità al giorno che non bastano per far arrivare l'acqua nelle abitazioni. Per noi e stato quasi impossibile per giorni e giorni fare la doccia, pulire i panni e risciacquarli e stirare i vestiti».

Dopo il Covid, la guerra in Ucraina è stata l’ultima onda d’urto di un mondo interconnesso. «Alcuni giorni prima dell'inizio della guerra, – dice padre Ibrahim – la farina era già scomparsa dal mercato di Aleppo. Con l’inizio del conflitto, c'è stato un aumento severo e improvviso dei prezzi degli alimentari che ha prodotto un ulteriore deterioramento. Oggi, la nostra non e più una vita degna della persona umana».

Parole così si commentano da sole. Sono una provocazione alla nostra commozione selettiva che giustamente ci fa indignare davanti alle atrocità che stanno avvenendo nel cuore dell’Europa, ma non ci fa vedere quello che avviene un po’ più in la. Commozione selettiva che ci fa raccogliere tonnellate e tonnellate di aiuti per chi fugge dal conflitto in atto, ma essere meno generosi per povertà che ci toccano relativamente. Commozione selettiva che ci porta alle lacrime di fronte alle testimonianze dettagliate dalle città ucraine e non ci smuove di fronte alle atrocità che nessuno può raccontare, perché magari inaccessibili ai media internazionali.

Sia chiaro, quanto avviene per certi aspetti è comprensibile e anche normale. Ma non è giusto. E dipende anche da noi. Perché la nostra commozione dovrebbe essere creativa, capace di immaginare anche quando non vede, di essere vicina anche a chi e lontano, di soffrire anche quando il dolore altrui non ci interpella.

Padre Ibrahim grida: «Per favore, non dimenticate la Siria, per favore, in mezzo a tante preoccupazioni, non dimenticate l'uomo lasciato nella periferia esistenziale del mondo, qua ad Aleppo». Per favore… Siamo disposti a farlo veramente?

Matteo Spicuglia

NP aprile 2022

Il presente di Aleppo è segnato da un freddo che morde senza nessuna possibilità di riscaldarsi, da una fame dovuta all'inflazione e all'aumento dei prezzi, specialmente degli alimentari

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