Amore condiviso

Pubblicato il 22-12-2018

di Flaminia Morandi

Flaminia Morandi - MINIMAdi Flaminia Morandi - Nel cristianesimo la liturgia viene prima, la dottrina e la disciplina dopo, diceva Georgij Florovskij, teologo e sacerdote russo morto nel 1979 negli Stati Uniti, dove aveva insegnato ad Harvard. Come a dire: se si assorbono i simboli liturgici, dopo sono loro che plasmano la vita di un cristiano per assimilazione e non per imposizione.

La liturgia, soprattutto quella orientale, sa “infondere” cristianesimo. Per esempio, durante la liturgia del fidanzamento che precede quella del matrimonio, i fidanzati ricevono la comunione e si presentano davanti alle porte regali, lei di fronte all’icona della Theotokos, lui a quella di Cristo: l’unione di Cristo con la Chiesa, aprire a Dio la porta della loro umanità è il fine della loro unione. I due anelli sono sull’altare a impregnarsi di mistero, simboli del nuovo destino sacro della coppia: aiutarsi reciprocamente a crescere nell’unità per entrare nel Regno.
Il sacerdote benedice i due promessi con i ceri accesi che poi mette nelle loro mani, perchè ricevano la loro Pentecoste coniugale, la fiamma dello Spirito Santo. Li incensa con il turibolo disegnando nell’aria una croce: come nel libro di Tobia, il fumo scaccia i demoni e la croce purifica l’aria, liberando l’universo dal dominio del male. Durante la liturgia del matrimonio, gli sposi vengono incoronati mentre le bellissime preghiere del rito evocano Cana ma anche i quaranta martiri di Sebaste: l’amore vero è un amore crocifisso. Nella preghiera per la castità coniugale non c’è nessuna diffidenza verso il sesso. L’unione carnale del matrimonio è casta: il corpo dell’uomo e della donna che si sposano è materia sacramentale che riceve la benedizione divina. Il corpo, al pari dell’intelletto e del cuore, è coinvolto nella divinizzazione della persona.

Il triplice giro finale del rito dice il vero scopo del matrimonio, entrare nel senza tempo dell’eternità: dove non è necessaria la procreazione di figli (che a volte diventa per certe coppie un “vitello d’oro”, un valore assoluto, un’avidità dell’avere) ma la tensione verso l’essere, l’amore condiviso, “la concordia dell’anima e del corpo”, dicono le parole del rito. Non è un caso che nei primi secoli della chiesa cristiana i matrimoni si celebravano a mezzanotte: è nel buio, nella coscienza del proprio limite che l’uomo accoglie Dio ed entra nella porta stretta del cammino di deificazione. Il sacerdozio degli sposi è aiutarsi a scoprire il proprio vero “nome”, il proprio vero io; e, come apostoli, trasmettere la gioia della Shekinah, della Presenza divina, dice lo Zohar ebraico, che riposa nel loro amore reciproco.

Flaminia Morandi
MINIMA
Rubrica di NUOVO PROGETTO

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