Accidia

Pubblicato il 26-07-2020

di Flaminia Morandi

I medici dicono che su sei neonati che nascono almeno uno è un futuro depresso. Ci si deprime da neo pensionati ma anche da adolescenti, soprattutto le donne, e nell’età più attiva, fra i 25 e i 44 anni.

Il sintomo più evidente è il dolore del vivere, il male oscuro, l’assalto dei pensieri negativi, senza speranza, il bilancio fallimentare della propria vita, il senso di colpa o un sordo rancore che dà la colpa agli altri della propria immaginaria sfortuna. I Padri la chiamavano accidia, dal greco akedos, senza cura. Quella che per noi è una malattia della psiche per loro era una malattia dell’anima, o meglio una forma di atonia, di paralisi, di negligenza dell’anima, come dicevano Evagrio, Cassiano e Talassio.

La passione peggiore, dice san Massimo, perché mentre le altre invadono o la parte irascibile o quella concupiscibile o quella razionale dell’anima, l’accidia le eccita tutte insieme. È una morte che attacca l’uomo da tutte le parti, rincara Cassiano, non basta una sola virtù per distruggerla. Da realisti quali erano, oltre ad identificare i sintomi (gli stessi illustrati dai nostri psicologi), si preoccupavano soprattutto di indicare i rimedi.

Il primo, si sa, è diventare consapevoli della tentazione che ci assale: ma nel caso dell’accidia la presa di coscienza è difficile, perché una sua caratteristica è la non-motivazione, l’incomprensibilità del suo sorgere, come una nebbia che insidiosa che impedisce di vedere. Eppure c’è una spia che la smaschera: l’insofferenza verso il proprio spazio compreso il corpo, il desiderio di cambiare il proprio stato di vita, l’incapacità di concentrarsi, di essere qui e ora. L’accidioso si inventa frequentazioni inutili pur di cercare un sollievo al macigno che lo opprime.

Ma presto l’accidia torna a mordere peggio di prima, nota Isacco il Siro. La terapia del qui e ora comincia dal lavoro: in ogni attività fissati una giusta misura e osservala finché non l’hai portata a termine, suggerisce Evagrio che l’accidia la conosceva bene: “impedisciti di fuggire e dividi l’anima in due; una piange e l’altra consola”. L’accidia si vince solo con la lotta solitaria, con la stabilità, facendo del proprio corpo il luogo dell’incontro con Dio. Poiché questa passione contiene tutte le passioni, quando il demone è vinto non ne arrivano altri: “dopo la lotta uno stato di tranquillità affiora nell’anima e una gioia ineffabile la inonda”. Ma la lotta non è facile né breve, ci vuole pazienza con l’accidia.

L’ha detto Gesù: con la vostra pazienza salverete le vostre anime: perché l’accidia vorrebbe divorare l’anima intera, essa non è altro che uno dei camuffamenti dell’insaziabile ego. Solo restare saldi nella propria cella, dice san Paolo con un gioco di parole, fa diventare amico di Dio un amico di sé, trasforma un filautos in filotheos.

Flaminia Morandi
NP gennaio 2015

Questo sito utilizza i cookies. Continuando la navigazione acconsenti al loro impiego. Clicca qui per maggiori dettagli

Ok